L’invisibile ovunque

Invisibile_Ovunque

L’invisibile Ovunque è l’ultimo sforzo narrativo di Wu Ming, pubblicato nel novembre 2015, ma Tatiana Larina lo legge solo ora, perchè… perché se l’è perso…

ma come perso? Quoque tu, Tatiana? adepta fervente del collettivo, lettrice appassionata di ogni cosa pubblicata in solitario o in formazione, attenta seguace di Giap, cieca davanti a opere non proprio perfette, assetata di ogni loro nuovo prodotto neanche l’arsa terra di questo arido inverno?

Sì, proprio io… che a dirla tutta in questo periodo Tatiana non si è persa solo i Wu Ming, si è proprio persa in generale… nel senso che non riesce a stare dietro a tutto, legge complicati testi che neanche comprende davvero e così vive il rischio insito in ogni perdimento: perdersi le cose vere; magari capita che riscopra la critica letteraria delle avanguardie sovietiche aggirandosi nei mendri nel passato ma facendosi sfuggire le cose belle del presente.
Vi chiederete ora, forse, ma perché parla così, Tatiana, oscillando tra prima, seconda e terza persona? perché gira in tondo e non recensisce? Be’, mi sto camuffando, mi mimetizzo, ovvero nascondo nella recensione tracce del mio percorso nello stesso modo in cui paleso attraverso Tatiana Larina pensieri che senza l’alter ego, l’ego reale (molto poco egotista ed egocentrico) non riuscirebbe a palesare. O forse è l’alter ego che palesa attraverso Tatiana (ego originario) la propria altalenante esistenza. Chi può dirlo. Chi siamo?

Ma voi, pochi, che ormai siete arrivati fin qui a leggere, a questo punto stufi vi chiederete ancora: ma che c’entra tutto ciò con i Wu Ming e la loro ultima raccolta di storie?

C’entra, per me c’entra. Per me il senso delle quattro storie che costituiscono L’invisibile Ovunque è un modo di raccontare la fuga, il tentativo di nascondersi, di ovviare, scappare trovare un via d’uscita. Da cosa? ma da tutto ovvio: da noi stessi, da quello che siamo, dal nostro ambiente, dalla quotidianetà, dalla mancanza di prospettive o dalle infinite prospettive soprattutto dalla realtà che ci circonda e che nel caso di questo libro è la guerra, ovunque.

Le storie hanno un fil rouge ad unirle: l’idea che nessuno sia davvero se stesso, fino a quando non trova un modo per scappare ai propri doveri, alle proprie responsabilità per esprimere il meglio di sè, il proprio lato artistico, fino a che non trova lo spunto per fare della propria vita un’opera d’arte, dove arte qui è nel significato moderno, ovvero non sta per bellezza.

Abbiamo il contadino votato alla violenza e all’omicidio che nella guerra trova la sua realizzazione; il matto che ha il coraggio di palesare la sua follia solo quando deve fingerla (la follia); il ribelle disadattato nella propria famiglia che sceglie di essere perfetto, portare a compimento il proprio compito e farla finita; l’artista imprestato alle arti militari che vuole fare dell’orrore un’opera d’arte per salvare i suoi commilitoni.

Tutti si muovono in un contesto unico: la Prima Guerra Mondiale, i cinque anni che hanno restituito l’uomo alla propria caducità, che hanno squassato l’ordine grandioso presupposto fin lì per riordinare tutto in un nuovo frammentato disordine, che hanno segnato il trionfo dell’incertezza storica e non solo psicologica. La guerra, invisibile, ma ovunque. Pervasiva eppure silenziosa, la Prima guerra Mondiale si è combattuta sul fronte, un lungo, interminabile fronte che ha segnato come una ferita tutta l’Europa fino a che a sanarla non è arrivata la Seconda Guerra Mondiale esplosa come un bubbone ovunque nel continente, senza risparmiare nessuno. Se nel 1915 non si era al fronte o non si risiedeva su al nord, la guerra non si viveva, ma la si sentiva, la si odorava: nel pane sempre più scadente, nella penuria di tutto, nelle tasse alle stelle, nel lavoro che mancava e soprattutto in quella cartolina di leva che arrivava in casa a strappare l’amore e la vita di figli, padri, mariti, fratelli. Era ovunque anche se invisibile, come tutte le cose invisibili potevi ignorarla come si fa con l’aria che respiri ma di cui non potevi fare a meno.
Ed era terribile. Mio nonno combatté la seconda guerra mondiale ed ebbe un fratello nei campi nazisti, quindi di guerra ne sapeva qualcosa. Durante uno dei suoi racconti essenziali e pur indimenticabili mi disse: “Io ho combattuto e per fare la guerra devi essere coraggioso, ma se mi avessero spedito al fronte come mio suocero e mi avessero costretto ad andare con le mia gambe incontro a morte certa io non ce l’avrei fatta. Quello non è coraggio, è un’altra cosa… che io non conosco. Forse dovevi essere un uomo…” e poi aggiunse “….o forse no”. Ecco i Wu Ming la Grande Guerra te la fanno vedere proprio così, devi essere un uomo per poterla combattere … o forse tutto il suo contrario. Questi quattro oggetti narrativi affrontano in tema in maniera diversa ma con la stessa intensità. Lasciano una profonda riflessione aperta nel lettore, la consapevolezza del terrore di quella guerra.

I Wu Ming sono ormai sulla strada (buona) della sperimentazione. Leggere L’Invisibile Ovunque significa calarsi completamente nei personaggi, immaginari come nella maggior parte della letteratura di fiction solo che come succede ormai da un po’ nelle opere del collettivo, in questi racconti alcuni sono presentati come personaggi storici realmente esistiti ma dimenticati dalla Storia, passati nel silenzio con le loro gesta per questioni di opportunismo retorico. Qual è la differenza tra il normale frutto della fiction narrativa e alcuni personaggi dei Wu Ming? il fatto che alcuni di questi personaggi giungano a noi corredati non solo di storie ma di Storia, con tanto di bibliografia, fonti di riferimento, testi scritti o quadri dipinti. Qui il lettore si perde. Tutto è perfettamente costruito ed è difficile distinguere ciò che è vero da ciò che è falso o ciò che è inventato. Tutto diventa più che verosimile fino ad immaginare una storia quasi più coerente della Storia stessa.

L’artificio riesce perché i Wu Ming scrivono bene, e su questo mi sono lungamente soffermata nella recensione a L’Armata dei Sonnambuli, e come altri russi hanno scritto anche per le opere in solitario come Point Lenana.

La prima innovazione del testo, sta a mio avviso nel fatto che i Wu Ming sembrano aver abbandonato l’espediente narrativo della storia raccontata come avventura catturando il lettore attraverso un primo livello narrativo di tipo descrittivo, inducendolo a entrare in livelli più complessi e accompagnandolo didascalicamente nel vivo della storia e della critica politica, fino a una lettura fortemente connotata ideologicamente. Con L’Invisibile Ovunque, il lettore si trova, invece direttamente proiettato in una complessità che prescinde l’intreccio narrativo e riguarda il contenuto.

Forte è poi la contaminazione tra la letteratura e le altre forme artistiche, in particolare la pittura. Il Surrealismo, espressione di quel tormentato periodo insieme alle avanguardie che hanno accompagnato e segnato i primi decenni del XX sec., diventa nell’opera punto di riferimento e fonte di ispirazione. Le storie raccontate in maniera fortemente realistica, seppur dal punto di vista dei “minori”, assumono i connotati del surrealismo: tutto è paradossale, amplificato eppur asciutto; paradossale ma possibile. Quando entrano in scena gli artisti è al Surrealismo che appartengono. Si tratta di chi all’epoca scelse l’arte come forma di protesta rispetto alla follia o come modo per avvallare con la bellezza quella stessa follia. In un racconto compare niente poco di meno che André Breton, autore di Manifesto del Surrealismo, punto di riferimento delle avanguardie della prima parte di quel secolo breve ed efferato. E ancora il Surrealismo è rintracciabile ad nelle descrizioni della decomposizione dei corpi degli uomini e delle carcasse di animali. Le scene sono talmente vivide da ricordare i quadri di Dalì.

Sulla commistione delle arti, la contaminazione tra arti figurative e narrative in quel periodo storico si è scritto e si è detto tantissimo e molto bene, basti fare un riferimento a come la critica affronta la questione, si veda ad esempio Majakovskij e il Teatro di Avanguardia Russo di Repellino, il divulgativo ma intensissimo Il Secolo Spezzato delle Avanguardie di P. Daverio, oppure la monumentale testimonianza data da S. Zweig in 1944 – In Mondo di ieri, un’autobiografia che ripercorre la vita dell’Europa e il crollo degli imperi centrali testi incredibilmente formativi per comprendere il periodo e la follia che li ha accompagnati.

I Wu Ming però si spingono oltre concretizzando nell’arte stessa quell’essenza. Si tratta di un ennesimo passo in avanti sul percorso del collettivo che  continua a sperimentare, a proporre letteratura di livello senza dormire sugli allori. Certo questo libro è meno “popolare”, in qualche modo io lo trovo più “elitario”, da un punto di vista culturale, e se io che sono una semplice lettrice vi ho scovato tutto questo immagino cosa ci sia davvero sotto e quali altri livelli possano essere celati. Quindi per me l’esperimento è riuscito e peccato che si tratti dell’ultimo con Wu Ming 5 in uscita dal gruppo. Speriamo di leggerlo presto in solitario e speriamo soprattutto che il collettivo resista!

Manco a dirsi questo libro rientra nella mia #readingchallegne2016 – categoria #libroautoreamato

READING CHALLENGE 2016

Consigliato: si tratta di un libro sperimentale, o meglio che chiarisce la sperimentazione dei Wu Ming. Se vi piace il filone storico e della contaminazione tra i generi, non potete perderlo

Sconsigliato: è un libro molto diverso da quello che siamo abituati a vedere del collettivo. Se cercate il romanzo storico con tanto di avventura, ovviate

Autore: Wu Ming

Editore:Einaudi – Stile Libero

Lunghezza stampa: 201 pp

ISBN-10: 880622591X

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