La scuola cattolica

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“Non capiamo gli altri. Forse non abbiamo la pazienza necessaria a farlo. Li giudichiamo frettolosamente, goffamente, ci resta ancora tanto da sapere, così tanto da soffrire e da godere, mentre siamo qui gettati, nel numero, nel tempo, nelle dimensioni, nelle ristrettezze di una mente sola.”


La Scuola Cattolica ha vinto il Premio Strega 2016. La scuola cattolica è “il più lungo romanzo italiano”, e consta di 1294 pagine. Il delitto del Circeo, argomento principale della narrazione, viene raccontato, molto brevemente, solo da pagina 473. I Clippings del mio Kindle contengono 79 pagine di sottolineature tratte dal libro.

Ho compiuto l’impresa di leggere questo libro tra luglio e agosto. Chiamo questa lettura un’impresa non perché il libro sia particolarmente lungo, o difficile, o elaborato. Leggere questo libro è un’impresa perché queste pagine sono un viaggio nel nostro Paese, in quella che possiamo immaginare come “l’italianità”, nella nostra cultura condivisa. E’ un libro che a tratti mi ha ricordato Lessico Famigliare, perché parla molto di famiglie e famiglie borghesi. Il libro è infatti solo marginalmente un romanzo. E’ più un pamphlet, un saggio, un’autobiografia, un romanzo di formazione. Scritto con bellissime parole.

A dodici anni, tredici… a quindici anni… notti insonni con il cuore in subbuglio e la mente che rumoreggiava di pensieri contraddittori, un pensare enorme, inconcludente, ininterrotto. Nel buio si scontravano continenti di pensieri, con uno scricchiolio, enormi lastre di ghiaccio alla deriva. Il pensiero incessante, vano… Il corpo che reclamava riposo… la mente famelica. Cosa pensavo? In realtà, niente. Non ero io a pensare, ma i pensieri che arrivavano in massa e vorticavano come stormi di uccelli nel cielo invernale, ogni tanto formando qualche figura che dava l’impressione di avere senso, quasi subito dissolta.

Ma sopratutto questo è un libro di antropologia, dell’antropologia della relazione tra i sessi nel XX secolo.

Per tradizione, le donne sono abituate a essere piegate da una forza strumentale: o pagate, o violate, o sedotte, o sposate per imposizione, o innamorate (cioè vinte dall’amore).

Ma almeno fosse davvero una guerra, fosse una guerra e basta, quella tra i sessi! Una guerra aperta, senza tregua, con una dichiarazione ed eventualmente una cessazione delle ostilità, un fronte definito, atti univoci, una strategia riconoscibile. Invece le bandiere si mischiano e confondono. Questo conflitto riesce a intrecciare atrocità peggiori di una guerra civile, soprusi e torture, alla tenerezza più delicata, al piacere di condividere un’ora, all’amore acceso, all’ammirazione reciproca, al dono della propria indifesa nudità, continuamente confondendoli tra loro, sicché i nemici più acerrimi non smettono di cercarsi per abbracciarsi dato che sembrano avere un bisogno disperato l’uno dell’altro, gli uni delle altre, eppure, una volta trovatisi, non riescono che a farsi del male.

Tra i mille commenti che ho letto, e che spesso sono così puntuali e articolati da credere che non ci sia nulla da aggiungere, molti si soffermano sugli aspetti sociologici, ma quasi nessuno ha colto l’essenza puramente antropologica dall’analisi di Albinati. Quell’andare al nocciolo biologico, più che esistenziale, dell’essere maschi o femmine.

[…] strano, faccio l’amore per annullarmi, e finisce che mi riproduco. Vorrei cancellare me stesso e invece mi moltiplico. L’avere congiunto nel medesimo atto due tensioni così diverse è stato considerato da molti pensatori come un saggio inganno della natura, la seducente trappola della riproduzione. Il binomio romantico amore-morte cambia di segno in amore-vita.

Noi lottiamo contro le tentazioni disumane con l’aiuto di due forze diverse: l’una fornita dalla ragione, capace di venire a capo degli impulsi negativi grazie a un processo riflessivo, l’altra che riposa invece nel sentimento, a cui certi atti malvagi o osceni ripugnano istintivamente. Cuore e cervello, etica razionale e morale istintiva comandano più o meno gli stessi precetti, e vengono quasi sempre obbediti, altrimenti la vita di un individuo sarebbe una sfilza di azioni criminali.

Inoltre si parla del sesso, del sesso come una dimensione intima, ma anche sociale.

Nello spettro di una vita ordinaria, e persino di una vita casta, c’è più passione e oscenità che in qualsiasi Emmanuelle + Werther + Portnoy + Cime tempestose + l’opera omnia di Henry Miller Bukowski Erica Jong e Tinto Brass. Si tratta di un campo sterminato, nemmeno l’individuo che vi abita lo conosce fino in fondo.

La prima parte del libro è quasi un flusso di coscienza dell’archetipo del maschio italiano. Credo di aver imparato più da quelle 400 pagine che dalle ore, dai giorni, dagli anni trascorsi avendo quasi sempre maschi intorno.

Quasi mai si capisce quanto autentico e forte sia il bisogno dei maschi di ricevere tenerezza e amore da parte di altri maschi, e quanto questo bisogno insoddisfatto venga poi brutalmente girato sulle donne; così come è brutale l’esibizione di virilità ai danni delle donne perpetrata con l’unico scopo di ottenere il rispetto e l’ammirazione da parte dei maschi dei quali non si era riusciti a ottenere l’amore.

La seconda parte invece analizza più nello specifico la dimensione sociale e familiare dell’essere maschi. Ha il coraggio di mettere il dito nella piaga, proprio lì dove fa male, e spingercelo dentro, senza compassione.

Il libro supera l’interpretazione puramente politica del DdC, per offrirne una prospettiva molto più ampia. Ciò nonostante, la valenza politica del Fascismo, è descritta in modo che oserei definire cristallino, nella sua vacuità.

E’singolare come quasi sempre alla dottrina del superuomo si siano votati individui scarsi, tra i meno dotati sotto ogni profilo, di intelletto mediocre, poco virili e ancor meno coraggiosi o, quasi, si direbbe, per usare le loro categorie, dei sottouomini.

Affinché gli uomini si sentano smaniosi di scagliarsi l’uno contro l’altro, per versare fiumi di sangue, è sufficiente “mettere le maiuscole a parole prive di significato”.

Perché mai, mi chiedo, spassionatamente, all’analisi ravvicinata e razionale, il fascismo risulta sempre così ridicolo? Grandioso magari, terribile o tragico talvolta, persino ammirevole, ma sempre e comunque ridicolo. Ogni volta si resta sbalorditi, leggendo testimonianze, vedendo filmati, ascoltando discorsi. Si è inevitabilmente spinti a farne la parodia come, però, se esso stesso fosse il principio consapevole e beffardo di tale parodia. Non sembra possibile che a provocare tante illusioni e tragedie, a muovere cuori e bastoni e pugnali e bombe a mano e infine autoblindo fosse una tale pagliacciata.

Molto si è detto di questo libro, che mi ha fatto sentire molto piccola, ed anche molto grata al suo autore, e credo di poter aggiungere, tra le tante parole, solo la mia esperienza personale di lettore e di donna.

Ho letto questo libro in Turkana, nel desenza-turkanaerto. Non avevo Google, e avevo pochissime persone intorno a me, di cui solo una italiana. Dopo le prime pagine, le ho detto che DOVEVA leggerlo e ne abbiamo iniziato una lettura quasi in contemporanea. Questo mi ha permesso di avere qualcuno con cui condividere l’affastellarsi di pensieri e riflessioni che scaturivano dalle pagine.

Tornata a casa, ho iniziato a parlarne un po’ con tutti. Mi piacerebbe davvero che i maschi italiani leggessero questo libro. Credo che scriverlo sia stato catartico per EA, e credo che leggerlo possa essere catartico per molti dei miei amici, amori, colleghi uomini. Esprimere le tante cose inespresse, assumere una prospettiva femminista ma squisitamente maschile è un’impresa che non tutti avrebbero il coraggio di intentare. Figuriamoci poi riuscire.

Del resto, è difficile immaginare che una diseguaglianza pervasiva e massiccia com’è quella tra i sessi si perpetui senza l’uso della violenza. Non una violenza ufficiale, istituzionale, ma strisciante, spicciola, potenziale, a bassa intensità eppure sistematica, una specie di guerriglia, uno stillicidio…

Quando si mette in crisi un ordine sociale basato su una violenza a bassa intensità ma diffusa, generalizzata e mediamente accettata per sentire comune, com’è quello del dominio dell’uomo sulla donna, allora possono per reazione scatenarsi episodi puntuali di violenza estrema che hanno il significato di autentiche ritorsioni.

Un conto è dover cacciare un cinghiale o un leone, un conto è presentare un programma tv o insegnare all’università. Nel primo caso le controindicazioni all’essere femmina sono rilevanti, nel secondo nulle.

Questo libro poi parla di noi, di tutti noi italiani.E poi parla di una generazione, quella dei miei genitori, che si è trovata a diventare adulta nel momento forse più delicato della storia recente del Paese (dopo il Fascismo, ovvio). La loro generazione è quella della lotta armata, ed è anche quella di coloro che hanno mollato gli ideali per finire in banca (come si diceva una volta). Da questo libro questa generazione viene fuori in un ritratto estremamente vivido e per me a tratti commovente.

Certe proibizioni relative alla pura esteriorità («Vestita così te lo scordi di uscire!») sono nevroticamente imperative quanto i precetti morali, non rubare, non mentire, levati quel trucco dalla faccia, ecco, è lì che scatta davvero l’autoritarismo, sulle questioni di gusto.

Il pranzo natalizio con il capitone, un freddo serpente guarnito di fettine d’uovo – i baci di congedo sulle guance pelose delle vecchie – confessare i propri peccati di bambino, del resto quasi inesistenti, a uno sconosciuto che si nasconde dietro una grata: il potere delle convenzioni è vincolante al punto da farci accettare cose noiose o incomprensibili, l’incantesimo del nostro assoggettamento.

Io sono figlia di questa gente qua, e di queste generazioni qua. Sono nata un anno dopo il DdC, ma a me le buone maniere sono state insegnate esattamente nello stesso modo descritto da EA. Probabilmente c’è molta più vicinanza tra me e questa generazione, di quella che potrebbe esserci tra me e mio figlio. Un’adolescenza senza google e wikipedia ormai sancisce un Rubicone generazionale, credo.

Infine c’è il Delitto. In Turkana  non avevo Google, dicevo, ed io sono sempre stata un po’ restia a leggere di fatti di cronaca, l’attenzione morbosa a certe cose non fa per me. Quindi non sapevo quasi nulla del Delitto. E quindi, tornata a casa, ho googlato e ho letto, e ho visto.

Il DdC può essere rubricato tra i cosiddetti “omicidi ricreativi”, cioè che ti permettono di trascorrere un sabato con amici o un intero weekend.

Vi dico subito che il video che ritrae Angelo Izzo al processo per l’omicidio di Campobasso del 2005 non sono riuscita a finirlo. Sono stata presa dal terrore. Il terrore del male.

Ho anche appreso con terrore che nella mia bella Roma, potrei trovarmi a condividere un mezzo pubblico od il tavolino del bar con Gianni Guido. Anche questo mi terrorizza.

Per quanto riguarda il Legionario, sperare che sia morto per davvero non mi fa sentire una brutta persona.

Al contrario delle storie, le idee non hanno fine. In realtà non ce l’avrebbero neanche le storie, solo che a un certo punto del loro svolgimento si cessa di raccontarle. Dove esattamente? E perché? Perché si pensa che abbiano detto quel che avevano da dire. Ma non è davvero così. A ogni dramma si potrebbe agganciare un successivo dramma, a una generazione quella che la sostituisce. Si potrebbe sempre scrivere un seguito.

Titolo: La scuola cattolica
Autore: Edoardo Albinati
Editore: Rizzoli
Pagine: 1294
Prezzo: € 22,00, ebook 9,99

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7 risposte a "La scuola cattolica"

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  1. Bella rece. Avevo letto solo i primi sei o sette capitoli e avevo fiutato un buon libro. Sono contenta di non aver sbagliato. Avevo già deciso d leggerlo, ma adesso ne sono ancor più convinta.

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  2. Avevo capito che stavolta lo Strega era “vero”, quando a Grosseto la signora mi ha scambiato per il libraio infatti gliel’ho venduto subito anche se non lo avevo letto e ora lo leggerò. Da sempre penso infatti che molte se non tutte le generazioni di maschi italici abbiano vissuto, e ancora vivano, al Circeo.
    Ma c’è qualcosa che supera il romanzo: questa recensione.

    Piace a 2 people

  3. L’ha ribloggato su LibriPensierie ha commentato:

    Il premio Strega letto da Zaidenoll, tra uno scavo e l’altro, in pieno deserto. Nessuna distrazione e, soprattutto, nessuna connessione wi-fi (mi sembra l’unico modo per poter leggere un tomo del genere, insieme all’essere in pensione).

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