#5libri di calcio

Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”.
Questa frase è di Josè Mourinho, ed è, a mio avviso, perfetta per capire che questo sport non si può ridurre alle mere conoscenze meccanicistiche del gioco: puoi conoscere tutte le tattiche, ingaggiare i migliori talenti e settarli come auto da corsa con i più sofisticati sistemi d’allenamento; puoi tenere a mente le statistiche complete degli ultimi dieci campionati ed estrapolarne algoritmi per avere un vantaggio sul tuo avversario ancora prima di entrare in campo. Puoi sapere tutto questo e non renderti conto che di calcio non sai niente. Chè il calcio è tensione mistica, è fantasia svincolata dai dogmi tattici, è vincere anche fuori dal campo; perchè il calcio è arte, bellezza, politica e molto altro ancora. Beninteso: non si sta parlando dei bei vecchi tempi, di un calcio romantico che non c’è più. I bei tempi, anche nel calcio, non ci sono mai stati. Però può esserci un modo diverso d’interpretarlo, viverlo e raccontarlo.

Il calcio è arte
dimitrijevicNe “La vita è un pallone rotondo” (Adelphi, 2000) Vladimir Dimitrijevic ci racconta che il calcio è arte: arte primitiva, quella di un gioco in cui l’uso degli arti più sviluppati, le braccia e le mani, sono consentiti solo a due gocatori su ventidue, i portieri, pena il vedersi confinati in una piccola parte di campo; gli altri possono contare solo sui propri piedi e articolazioni, ricercando movimenti spesso precedenti il completo sviluppo umano. Il calcio è poesia: un vero giocatore lo riconosci subito da come si muove o tocca la palla, come un grande scrittore lo vedi da dove mette una virgola o un aggettivo per rendere musicale la sua opera. E’ per questo che noi italiani, col nostro secolare catenaccio, gli facciamo storcere il naso; che i brasiliani, divenuti pragmatici giocando in Europa, non lo affascinano più come quando riuscivano ad accarezzare la palla anche da seduti; che gli americani, con il loro USA ’94, hanno ridotto il calcio a un carrozzone pubblicitario, pregiudicandone l’aura sacra. Dimitrijevic ci racconta anche, in brevi capitoli preziosi come perle, come il calcio per lui sia Maradona: una canaglia sì, ma uno che quando entra in un bar tutti vogliono offrirgli da bere; se nello stesso bar entrasse Beckenbauer, il prototipo del professionista modello, tutti si aspetterebbero che a pagare il giro sia lui.

Il calcio è filosofia
futbolandia “Il sogno di Futbolandia” (Mondadori, 2004, inspiegabilmente fuori catalogo) di Jorge Valdano, talentuoso attaccante del Real Madrid e Campeòn del Mundo con la Seleccìon Argentina a Messico ’86, è una carrellata dei più grandi giocatori e delle più belle sfide di ogni epoca: questo almeno se ci si ferma solo a leggerne l’indice. Dentro c’è tutto il pensiero del suo autore, un grande dentro e fuori il campo. Un estratto, il più citato ma soprattutto il più bello: <<Mi ripugna quel messaggio che si definisce “pragmatico”, è la strada più breve verso l’individualismo, l’assenza di solidarietà, gli ansiolitici. Ma soprattutto è falso. Esistere è assai più importante che vincere una partita di calcio. Il gioco serve a sentirsi almeno un po’ felici, per evadere dalle questioni serie, per fare amicizia; quel fondo di fascismo che si annida dietro la “filosofia del risultato” è tipico di gente che divide il mondo in dominatori e dominati, in ricchi e poveri, in bianchi e neri, in vincitori e vinti>>.
Valdano è una persona che parlando della sua amicizia con D10S afferma che “per un amico la mano sul fuoco va messa anche se sappiamo che ce la bruceremo…e io per Diego ce la metto”. Il calcio è un gioco, il gioco è vita.

Il calcio è bellezza
ungiornotriste Il calcio è bellezza nella pulizia del gesto tecnico, nei “movimenti ballati” e nei colpi di tacco di colui che è passato alla storia come uno dei più grandi interpreti di questo sport quasi per caso. Ché lui il dottore voleva fare: prima lo studio, poi il gioco. Sto parlando di Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, per tutti solo Sòcrates, per chi lo conosce dall’infanzia Magrao, per molti altri, per me, l’amatissimo O Doutor. Medico, calciatore, rivoluzionario. Lorenzo Iervolino nella sua opera “Un giorno triste, così felice” (66thAnd2nd, 2014) ci racconta la storia dell’uomo dietro al calciatore, quell’uomo che amava la conoscenza al pari della birra, la vita e la libertà. In un Brasile schiacciato dalla dittatura militare, assieme ad alcuni compagni di spogliatoio e al pubblicitario Washington Olivetto diedero vita ad uno dei più importanti esperimenti di autogestione politica, che proprio grazie a Olivetto prese il nome di Democracia Corinthiana. Il calcio è bellezza nella prosa del talentuoso Iervolino: ha scritto un libro denso, poetico, ritmato…bellissimo.
“Sòcrates, come vedi la tua morte?” «Se ci penso vorrei morire di domenica, e col Corinthians campione» così disse O Doutor ad un giornalista.
4 Dicembre 2011: alle 04.30 del mattino Sòcrates muore per uno shock setticemico al fegato; 12 ore più tardi il Timao, pareggiando 0 a 0 col Palmeiras, si laureerà campione brasiliano per la quinta volta nella sua storia. Trentamila pugni chiusi levàti al cielo salutano il campione in quello che lui stesso avrebbe definito “um dia triste muito feliz”.

Il calcio è immaginazione
subbuteo Fin da ragazzino mi è sempre capitato, e tuttora succede, di fermarmi al margine di un campo da gioco e rivivere le azioni più belle che ricordo. Capitava così quando con la bicicletta passavo sull’argine del fosso Essiccatore, a monte del campo del paesello, e undicenne rivedevo Nicolino Berti galoppare dalla propria trequarti fino all’area avversaria, vanificare il tackle di Grahammer, bruciare in progressione Reuter e Augenthaler e infilare Aumann in uscita bassa, ammutolendo l’OlympiaStadion. Quando invece le giornate erano inclementi, era il tappeto del salotto a trasformarsi nel rettangolo verde di San Siro. Fu quando “la mi’ mamma”, esasperata dai danni fatti con la pur leggera pallina di spugna, si presentò con la scatola del Subbuteo, che il confine tra calcio giocato e calcio immaginato crollò definitivamente. Ore e ore passate a giocare e rigiocare le sfide più emozionanti del calcio “vero”, giocando anche da solo sui due lati del tavolo: e se nel gioco, lo confesso, ero poco più di una “pippa al sugo”, era nella telecronaca diretta del match che avevo pochi eguali. Nel libro “Subbuteo. Storia illustrata della nostalgia” (Isbn, 2012) Daniel Tatarsky ci racconta tutto del gioco da tavolo dedicato al calcio più famoso del mondo, dall’ispirazione di chi lo inventò al suo sviluppo nel corso degli anni, dalle regole base ai trick più difficili: un vero e proprio manuale insomma. Il tutto corredato da tante bellissime foto e da una miriade di curiosità: quanti di voi sapevano che il nome di questo gioco è ispirato all’Hobby Hawk (= falco lodolaio), il cui nome scientifico è Falco Subbuteo, animale preferito dall’ornitologo-inventore Peter Adolph?

Il calcio è letteratura
sforbiciate-fabrizio-gabrielli Soriano, Galeano, Marìas, Kapuscinski, Magrelli: questi ed altri ancora sono i grandi scrittori che hanno narrato il calcio in maniera indimenticabile. E come afferma lo scrittore britannico Anthony Cartwhrigt, il calcio è dramma, è azione, è lo sport perfetto per essere trasposto in letteratura.
Io volevo presentarvi, però, Fabrizio Gabrielli da Civitavecchia, che qualcuno, e non a torto, ha definito un numero 10 della scrittura, un vero fantasista. Il suo libro “Sforbiciate. Storie di pallone ma anche no” (Piano B, 2012) nasce dalla volontà dell’editore di Prato di portare su carta quella che era una rubrica fissa del lunedì sul sito di ScrittoriPrecari. Gabrielli è bravo e scrive tremendamente bene: a differenza di altri non parte da un dato storico reale, un giocatore o una partita, nè da una situazione fittizia, per svillupparne una storia; se possibile va oltre, e il vero e il verosimile s’intrecciano di continuo e ti stregano. Pensavi di esser incappato nella storia di Rincòn e ti troverai a leggere di magia nera. Il calcio, l’ho premesso, non è mai solo calcio: dal calcio Gabrielli parte e al calcio ritorna, passando per le vite e le angosce di grandi campioni come Best e Garrincha, incrociando la grande Storia portandoti in Sud America nel periodo delle più feroci dittature, oppure raccontandoti la resistenza attraverso la storia di Bruno Neri, colui che divenne partigiano col nome di Berni, l’unico che all’inaugurazione dello stadio di Firenze, intitolato ad un gerarca, non alzò il braccio per fare il saluto romano. Troverete, inoltre, un paio di paginette dedicate al fantasmagorico Jorge Alberto Gonzàlez Barillas detto “El Màgico”, vero e proprio nume tutelare per molti fùtbologi. Il libro è diviso in due parti, come i tempi di una partita, e si arricchisce al duplice fischio dell’intervallo di un paio di vuvuzelate scritte in tempo di mondiali e soprattutto di un racconto di Davide Enia, “la corsa senza fine del numero 8”: in pochi pagine Enia ci riporta al tempo in cui i giocatori non erano un nome sulla maglia, ma un Numero e un Ruolo. Allora il dieci era la fantasia, sempre; il tre e il sette la velocità e il dribbling, sempre. E l’otto, l’otto era quello che si faceva il mazzo per tutti, con i calzini sempre calati, gli stinchi sempre esposti, i baffi sulla faccia operaia.
Vero e verosimile, gioco, campioni e Storia: il calcio è letteratura, e quella di Gabrielli è ottima.

Vi segnalo una Sforbiciata inedita e bellissima, non inserita nel libro ma pubblicata sul sito Fùtbologia: è dedicata a Rio Mavuba, nato in mare, e s’intitola Panta Rio

3 risposte a "#5libri di calcio"

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