The infidel and the professor di Dennis C. Rasmussen

A1+k8Jn7-DLScozia, anni Quaranta del ‘700. Il filosofo David Hume e l’economista Adam Smith si incontrano, si piacciono, e stringono un’amicizia destinata a durare per quasi trent’anni. Il XVIII secolo, in Europa, fu un’epoca ricca di fermenti letterari, politici e religiosi. Nel Regno Unito, con la Rivoluzione del 1688, si sarebbe posto fine all’assolutismo monarchico. L’anno precedente il matematico Isaac Newton diede alle stampe i Principia, contenente la teoria della gravitazione universale, iniziando una nuova era in astronomia. Nel 1707 la Scozia venne annessa al Regno; pochi decenni dopo, la Prima Rivoluzione Industriale ebbe luogo e si diffuse in più paesi e le tensioni fra Regno Unito e le colonie nel Nuovo Mondo condussero all’Indipendenza Americana negli anni Settanta. Infine, la Rivoluzione Francese del 1789 e la successiva instaurazione dell’Impero Napoleonico. È questo il contesto storico e culturale in cui Hume e Smith si conobbero. Due personalità caratterialmente e professionalmente diverse.

Hume era nato nel 1711. Vorace lettore sin da giovane, pubblicò la sua prima opera, il Trattato sulla natura umana (1739), poco meno che trentenne. Un’opera che non ebbe successo immediato alla pubblicazione e a cui lo stesso Hume avrebbe nella sua maturità guardato con pochi rimpianti. Un saggio scritto frettolosamente e con l’eccessivo entusiasmo caratteristico della giovane età, ripeteva lo stesso Hume, che tuttavia avrebbe acquisito un’importanza fondamentale per tutti gli studiosi del suo pensiero. Se ne susseguirono molte altre, fra cui Le ricerche sull’intelletto umano (1748) e I dialoghi sulla religione naturale, pubblicata postuma nel 1779. Hume, nel corso della sua vita, s’interessò di quasi ogni argomento. Dalla politica alla teoria morale, dall’epistemologia alla religione e alla storia. Fu un autore estremamente prolifico, tanto amato dai suoi amici più cari quanto odiato dai suoi nemici. Sì, perché ai contemporanei dell’esponente dell’empirismo non andava giù lo scetticismo con cui Hume connotava tutte le sue opere. L’esperienza, o meglio, l’uso che se ne fa di essa, è instabile, ma è anche l’unica fonte di conoscenza che deve circoscrivere i limiti dell’indagine intellettuale dell’uomo. È evidente, dunque, che l’esistenza di Dio, così come la sua interferenza nella realtà materiale attraverso i miracoli, diviene un argomento delicato. Hume fu talmente detestato dal grande pubblico da meritarsi l’appellativo di infedele, in patria; in Francia, al contrario, dove l’ateismo aveva avuto diffusione ampia nelle sue forme più o meno radicali, sarebbe divenuto noto con il soprannome di le bon David. Nei resoconti biografici viene descritto come una persona estremamente generosa, virtuosa e pacifica (se si fa eccezione per lo scontro personale, reso pubblico, con il filosofo Jean Jacques Rousseau, a cui l’autore del libro dedica un intero capitolo).

Adam Smith è di poco più giovane. Ad oggi è salutato come il padre del sistema capitalistico moderno. Ma c’è molto di più, e sarebbe riduttivo definirlo in questi termini. Il pensiero di Smith fu decisamente influenzato dalle elaborazioni humeane. Molto probabilmente Smith lesse il Trattato in giovane età, e i suoi scritti recano tracce di quel che Hume aveva sviluppato nelle sue opere. Tuttavia, bisogna sottolineare come Adam Smith avesse sì preso ispirazione, ma anche fornito originali interpretazioni delle materie di cui trattò. Smith, al contrario dell’amico filosofo, diede alle stampe solo due volumi, la Teoria dei sentimenti morali (1759) e La ricchezza delle nazioni (1776). Il secondo di questi è quello certamente più noto, anche se la Teoria ebbe gran successo fra i contemporanei. A contribuire ad un maggiore apprezzamento delle sue opere fu anche la sua riservatezza in materia religiosa. È vero, non ci sono particolari differenze fra gli scritti humeani e quelli smithiani in tal proposito; anche Smith tratta in termini piuttosto secolari dei suoi argomenti. È altrettanto vero che Hume si era più esplicitamente riferito alla religione in termini critici: i due capitoli delle Ricerche dedicati alla discussione della Provvidenza divina e dell’effettiva possibilità dei miracoli non erano certo passati inosservati. Per molti versi la teoria morale smithiana si rivela più elaborata e plausibile di quella di Hume. In economia, inoltre, Adam Smith aveva teorizzato un sistema liberale, ma era anche consapevole dei rischi che un abuso di tale sistema avrebbe comportato: accumulo di debito pubblico e spese per sostenere le guerre d’espansione sul mero lato economico; su un lato più umano, gli effetti indesiderati avrebbero riguardato invece la perdita di libertà personale e benessere dell’individuo, lo sfruttamento della classe lavoratrice da parte dei commercianti più ricchi, la creazione di profonde diseguaglianze sociali e l’abbrutimento della condizione umana nel senso più ampio (pp.169-173).

Hume sarebbe morto nel 1776, mentre Smith gli sopravvisse di quattordici anni. Negli ultimi anni di vita del pensatore scozzese, l’amicizia fra i due si sarebbe rafforzata ancora. Smith ebbe un ruolo particolare nel consigliare l’amico riguardo le sue pubblicazioni più controverse per l’epoca, e Rasmussen ben sottolinea le reticenze di Smith nell’accettare la stampa dei Dialoghi sulla religione naturale in caso di morte prematura di Hume (la pubblicazione dell’opera fu poi affidata al nipote di Hume stesso). In una lettera al loro editore comune, William Strahan, Smith non esitò tuttavia a definirlo our most excellent friend.

A sessantacinque anni, David Hume poteva vantare una lunga carriera. I suoi numerosi scritti lo avrebbero consegnato alla posterità come un uomo sagace, di vasta cultura e talvolta come esponente di uno spirito irreligioso che, come abbiamo visto, non gli risparmiò le critiche più violente, provenienti anche dalla Chiesa Scozzese, The Kirk. Nel caso di Smith, la scarsità di opere a noi giunte deriva dalla volontà dello stesso di dare alle fiamme molti scritti se non alcuni di più grande rilevanza. Nonostante ciò Rasmussen riesce a fornire anche al lettore estraneo ai fatti una visione di insieme ricca e completa. La corrispondenza privata fra i due esponenti dell’Illuminismo scozzese, inserita in un ampio quadro storico, a cui si aggiunge uno stile scorrevole e avvincente, rende il saggio di grande interesse sia divulgativo che accademico.

 

Titolo: The infidel and the professor
Autore: Dennis C. Rasmussen
Anno: 2017
Editore: Princeton University Press
Pag. :336

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6 risposte a "The infidel and the professor di Dennis C. Rasmussen"

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  1. bellissimo intervento Francesco, tu ci parli qui di due pensatori fondamentali per capire il pensiero contemporaneo. Poco tempo fa, per aver voluto ricordare nel corso di una discussione con un esponenete politico qui in Belgio, certe critiche di Adam Smith al capitalismo incontrollato (come dici tu, Smith era “consapevole dei rischi che un abuso di tale sistema avrebbe comportato: accumulo di debito pubblico e spese per sostenere le guerre d’espansione sul mero lato economico”) mi sono sentito trattare da “estremista di sinistra”. Questo mette in luce la mancanza contemporanea di un pensiero coerente di sinistra, secondo me, ma insomma, non entriamo in questioni complicate… Insomma, grazie.

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    1. Grazie mille per il tuo commento, Alberto. Sono molto d’accordo con te; purtroppo manca troppo spesso una cultura di base… che poi, per me, cultura non è semplice erudizione ma intelligenza critica, curiosità del nuovo e plasticità nell’apprendimento. Secondo me questo manca ed è un grosso problema della società contemporanea. Magari ne parleremo a voce, un giorno!

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