Le dodici tribù di Hattie

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C’è Hattie, che dopo l’omicidio di suo padre da parte di segregazionisti bianchi, si trasferisce a 14 anni dalla Georgia a Philadelphia

Un carretto in fondo al marciapiede catturò la sua attenzione. Hattie non aveva mai visto vendere fiori da un carretto. C’era un bianco, seduto su uno sgabello, le maniche della camicia tirate su e il cappello calato sulla fronte per schermarsi dal sole. Hattie posò la sua sacca sul marciapiede e si asciugò le mani sudate sulla gonna. Una negra si avvicinò al carretto. Indicò un mazzo di fiori. Il bianco si alzò – senza alcuna esitazione, senza che il corpo si contorcesse in una postura minacciosa – e prese i fiori dal secchio. Prima di incartarli, scosse delicatamente l’acqua dagli steli. La negra gli porse i soldi. C’era stato un contatto di mani? Mentre la donna prendeva il resto e si allontanava per infilarlo nella borsetta, urtò involontariamente tre composizioni floreali. Dal carretto caddero vasi e fiori, andando a schiantarsi sul marciapiede. Hattie si irrigidí, aspettandosi l’inevitabile esplosione. Aspettava che gli altri negri si facessero da parte, allontanandosi dall’atto di violenza che di certo stava per arrivare. Aspettava il momento in cui avrebbe dovuto coprirsi gli occhi per non vedere la donna e la tragedia che si sarebbe scatenata. Il venditore si chinò a raccogliere i cocci. La negra gesticolò le sue scuse e infilò di nuovo la mano nella borsetta, presumibilmente per pagare i danni. Nel giro di pochi minuti fu tutto sistemato, e la donna proseguí lungo la strada con il naso infilato nel cono di fiori incartati, come se non fosse successo nulla.

C’è Hattie che si sposa giovane, troppo giovane, a cui  la polmonite porta via i suoi primi figli, i gemelli. I gemelli a cui penserà sempre, nel corso degli anni, pur avendo avuto sette altri figli.

I primi bambini di Hattie. Si erano ammalati il 12 gennaio ed erano morti dieci giorni dopo. Penicillina. Sarebbe bastata quella, per salvarli. Ora avrebbero avuto cinquantasei anni, i capelli grigi o brizzolati, un po’ pesanti intorno alla vita e con qualche ruga agli angoli della bocca. Magari avrebbero avuto dei nipoti. Le vite che avrebbero vissuto sono vuote, sgombre: le persone che avrebbero amato, le case di cui forse sarebbero stati proprietari, i lavori che avrebbero avuto, rimane tutto sfitto. Non passava giorno senza che Hattie sentisse la loro assenza su questa terra, lo spazio vuoto laddove avrebbe dovuto esserci la vita dei suoi figli.

Hattie che riesce a sopravvivere al lutto.

Erano compagni di sventura, madre e figli, vulnerabili e bisognosi allo stesso modo, naufraghi insieme nel trascorrere dei giorni. Persino adesso che Floyd era un uomo, c’era sintonia tra lui e sua madre, e Hattie era l’unica persona al mondo con cui si sentiva sereno. Gli mancava la sua immobilità. Troppo spesso sprofondava in una chiassosa confusione interiore che minacciava di sopraffarlo.

C’è Floyd, musicista ed omosessuale non dichiarato, il primo figlio di Hattie, quello che ha con lei un rapporto speciale.

La tromba gemeva e piangeva. Chiedeva alle persone quali fossero i loro problemi e glieli restituiva con la musica. Floyd si fece da parte e lasciò che la tromba lo trasportasse ai margini del suo stesso essere. Non c’era nulla che quella tromba non sapesse dire. – Né in questo mondo, né in quell’altro! – gridò l’uomo in prima fila. In mezzo alle loro estasi, una rissa tra il pubblico.

C’è Six, che ha il corpo pieno di ustioni, e che a 16 anni lascia la casa in Wayne Street per diventare predicatore, e così sfugge ai suoi impulsi violenti.

Era straordinario perché aveva sofferto. Il suo dolore era il suo bene piú prezioso e segreto, e Six se lo teneva stretto, come un gioiello rubato a un cadavere.

C’è Ruthie, nata dall’amore di Hattie per Lawrence.

Lawrence non vedeva affetto nel modo in cui Hattie dondolava la figlia – come se stesse girando la minestra nella pentola. Quanti figli poteva amare davvero, una donna? Lawrence aveva quattordici fratelli e sorelle, e gli era sempre parso che sua madre lo considerasse l’ennesima bocca, l’ennesimo stomaco da riempire, l’ennesimo paio di piedi a cui passavano di misura le scarpe. Lawrence scrollò le spalle continuando a guidare. Cos’altro avrebbe potuto fare, lei? Erano troppi. Ruthie è solo una dei tanti, pensò. Chi sarebbe riuscita a diventare, tra tutti quei fratelli? Bastava guardare come la stava tenendo Hattie – come se fosse una qualunque, una neonata qualsiasi che aveva bisogno di essere tenuta in braccio. E se Hattie non fosse stata piú capace di amare altri figli? si chiese. Forse abbiamo solo una certa quantità di amore da dare. Nasciamo ognuno con la propria razione, ma se amiamo senza ricevere abbastanza amore in cambio, quella si esaurisce. Lawrence non aveva amato abbastanza. Si era rifiutato di usare la sua parte, e ora quella stava traboccando, stava premendo contro gli argini del suo essere. Rischiava di farlo esplodere, di farlo scoppiare come un palloncino.

E c’è August, l’amore di August e per August, il marito inetto, lo sciupafemmine:

La cosa giusta da fare era insultarla o prenderla a schiaffi o sbatterla fuori di casa a notte fonda. Aveva lasciato lui e tutti i loro figli. Teneva in braccio la figlia di un altro uomo. Chiunque avrebbe convenuto che doveva farle qualcosa di terribile, ma era stata via quindici ore, e in quelle quindici ore la vita di August si era sgretolata come una zolla di terra arida.

Fermo davanti a lei, aprí le braccia. Non era l’invito a un abbraccio ma un gesto di rassegnazione, come a dire: eccoci qua, questo è quello che abbiamo e non possiamo farci niente. Lasciò ricadere le braccia e si sedette con un lamento sul divano. C’erano troppe delusioni da contare, troppi dolori. Erano andati oltre il castigo e il perdono, oltre ciò che si erano inflitti l’un l’altro, oltre l’amore.

C’è Bell, la figlia dei 46 anni, che viene data in adozione alla zia, che parte per una vita da bambina ricca, nel sud.

Adesso si addormenta, pensò Hattie, e io veglierò il suo sonno e lo metterò da parte nei miei ricordi insieme ai suoi riccioli color ruggine e alla sua pelle di mela e a quel verso che fa prima di addormentarsi, come le fusa di un gatto.

C’è Franklin, sciupafemmine e beone, suo malgrado (come August?). Che parte per la Guerra, che in Guerra vede troppo, che si abbandona al suo fallimento.

Temo che questa volta abbia davvero chiuso con me. Io con lei non chiuderò mai. Sissy. È tornata a Philadelphia. Se è a casa di sua sorella, magari sta ridendo a bocca aperta, oppure sta gesticolando con le dita mentre parla. O forse è piú probabile che si senta un po’ triste e stia fissando fuori dalla finestra, le mani giunte sulle ginocchia. Conosco tutti i suoi stati d’animo e il modo in cui le trasformano i lineamenti, ma resto sempre senza parole guardando come labbra e occhi e guance si dispongano a formare il viso che amo. Tra tutti gli altri che avrei potuto amare. La mia Sissy.

Voglio vedere mia figlia. Voglio spiegare a Sissy che non potrei mai essere lo stesso stupido di sempre, dopo quello che ho passato stanotte. Nelle ore trascorse su questa spiaggia sono stato cosí vicino alla morte che mi sento quasi il fantasma di me stesso.

Con Sissy è andata allo stesso modo. Ho portato violenza nella sua vita e me ne sono andato prima di dover affrontare i danni che avevo fatto; con Lucille ci sarebbe piú incoscienza, piú dolore, piú promesse non mantenute, piú distruzione delle persone che amo.

C’è Bell, che ad un certo punto si lascia morire

Ti chiedo scusa, – disse. – Ci sono cose per cui non si può chiedere scusa, bisogna solo cercare di superarle, – rispose Hattie. – Anche per il tuo bene, per poter avere un po’ di pace. – Non sei arrabbiata? – Certo che sono arrabbiata! – Guardò Bell come se volesse prenderla per le spalle e scuoterla. – Probabilmente lo sarò per sempre. Ma sono stata furiosa per tutta la vita, e alla fine ho capito che non potevo tenermi quella rabbia dentro. Pesa troppo, e io sono troppo stanca. Ci penserà il tempo, come sempre del resto. – Lo sai.

Non mi perdonerai mai, vero? – chiese Bell. – Sono otto anni che ci provo. Piú di cosí non credo di poter fare, – disse Hattie. Riavvolse il gomitolo. – La casa nuova ha un bello spazio sul davanti. Voglio piantarci delle aiuole.

E ci sono Alice e Billups, che condividono un segreto terribile. Alice che vive del suo senso di colpa, Billups che vuole liberarsene. Alice che è diventata una “negra ricca” e passa la sua vita in vestaglia.

E poi c’è Cassie, che è schizofrenica, che entra in ospedale, e che lascia sua figlia Sala ad Hattie.

Mia madre era una bellissima giovane donna; la casa era troppo ordinaria, troppo piccola per contenerla. La osservai; capii per la prima volta che aveva una vita interiore, e quella vita non c’entrava niente con me e con i miei fratelli e sorelle. Sorrideva e annuiva come se stesse seguendo il ricordo di una melodia. L’altra notte è arrivata la Voce.

Quello che provo per Sala ha eclissato l’idea di amore che avevo prima che nascesse; mi ha fatto dubitare di avere mai amato qualcosa, prima di lei. Quanto a mia madre, sí, credo che le volessi bene. Penso di volergliene ancora. È quello che ho detto a Sala.

Hattie è un personaggio indimenticabile, tratteggiato con poche parole, è una scorza dura, è mani dure e cuore indurito. Ma è anche una splendida giovane donna, una donna poi matura aggrappata con gli artigli alla vita.  La storia di Hattie e dei suoi figli è la storia di tutti i neri d’America, una storia talmente universale e bella da essere, a mio parere una pietra miliare della letteratura afroamericana. Ho letto che M.A. è stata paragonata a Toni Morrison. Le tematiche sono assolutamente sovrapponibili, ma lo stile scarno, asciutto, piano ma terribilmente efficace, mi ha ricordato Harper Lee. Questa scrittura parla per cose semplici, il profumo degli aghi di pino, gli zigomi alti e la pelle color tè al latte, le onde del mare e le ossa di pollo della spiaggia dei neri. Ma ogni parola è necessaria. Leggetelo.

Titolo: Le dodici tribù di Hattie
Autore: Ayana Mathis
Editore: Einaudi
Pagine: 290

 

Un altro parere interessante su questo libro qui e qui

13 risposte a "Le dodici tribù di Hattie"

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  1. Che bello! Non ho letto tutto perché non volevo sapere troppo. Sai che anche il primo figlio di mia madre (mio fratello, insomma) morí a 3 mesi, nel 1953, a causa di una broncopolmonite? Come vedi spesso il romanzo mette in scena la vita vera.

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