Assegnano il Nobel a un autore a me sconosciuto, figuriamoci se non vado a cercarlo!
Sono riuscita a rimediare Paradiso e Il disertore, e ho preferito il primo.
Secondo i criteri classici, potremmo inserirlo nei romanzi di formazione: Yusuf, un ragazzino di 12 anni, lascia all’improvviso villaggio e famiglia, venduto allo “zio” Aziz, ricco mercante con cui il padre si era indebitato. Arriva quindi in una città vicino a Mombasa, costruita dai tedeschi come avamposto per la ferrovia che era proseguita, una città nata e subito morta (siamo agli inizi del ‘900). Qui all’inizio lavora nel negozio di Aziz, per poi seguirlo nelle sue avventure commerciali nell’interno, tornando un giovane vigoroso, di bell’aspetto, che ha avuto modo di vedere il continente e riflettere sui suoi abitanti, grazie alla sua abitudine di osservare tutto e tutti.
Certo l’ambientazione africana ci trasporta, come sul tappeto magico delle storie che Yusuf ama tanto, in un mondo nuovo, ma che da subito, a dispetto del titolo, non appare idilliaco. A luoghi incantati, paradisiaci appunto, si susseguono luoghi infernali, passando dalla costa alle piantagioni, dalle praterie alla fitta boscaglia lussureggiante, dalle colline scure alla pianura riarsa, fino agli altipiani.
Yusuf, in un bananeto, trova una cascata con “una segreta magia, benigna e pacifica”, i cui spruzzi nascondono fra le felci una caverna, “nascondiglio di tesori e di prìncipi sventurati”: una terra “pura e luminosa”.
Dopo il lago invece, le cui scogliere rossastre al tramonto brillano come un muro di fiamme, si estende invece una foresta che nasconde “rampicanti spinosi e intrichi di liane velenose, mentre le ombre più attraenti traboccano di serpenti”, dove zanzare malariche tormentano a nugoli chiunque passi, fino a una morte atroce.
L’inferno e il paradiso convivono anche nello stesso luogo, nel giardino di Aziz in città: costruito proprio sullo schema dell’Eden, con una fontana al centro da cui si dipartono quattro canali, una prigione per la moglie pazza del mercante e gli altri schiavi, in particolare la giovane Amina.
Ovviamente, l’autore nota un decadimento verso l’inferno soprattutto per l’arrivo dei colonialisti europei, in questo caso tedeschi (non manca l’ironia: la loro bandiera è “un merlo isterico e rabbioso”). Ovunque insediano soldati e funzionari, “come un’invasione di locuste”, costruendo per prima cosa una prigione, poi una chiesa, poi un capannone per il mercato, “così possono tenere d’occhio i commerci e tassarli”. “Perderemo tutto, compreso il nostro modo di vivere”: questa è la paura diffusa fra gli anziani. “Ci saranno controversie e litigi, ruberanno questo e quello, forse combatteranno una guerra meschina dopo l’altra, e quando si saranno stancati torneranno a casa”, la previsione più ottimistica.
Gurnah non manca però di criticare la società africana anche indipendentemente dal colonialismo; a parte l’istituto ancora diffuso della schiavitù, rimarca una divisione in classi sostanzialmente razzista: agli indigeni di città si contrappongono gli arabi, spesso presuntuosi, gli indiani, visti per lo più come truffatori, e all’ultimo gradino i “selvaggi” delle praterie, senza un briciolo di civiltà, per cui tutti provano un misto di repulsione e terrore.
I personaggi sono ben delineati, con una cura introspettiva particolare e per molti versi psicologica: Aziz il mercante fiero, compassato e imperturbabile, che ad ogni passo emana sicurezza, ricchezza e superiorità; il capo spedizione prepotente, minaccioso, collerico, col gusto del potere; ma soprattutto Yusuf, che si sente un vigliacco (“sognò di vedere la propria vigliaccheria luccicare alla luce della luna”), con un “grumo duro di solitudine” nel cuore per il forzato abbandono dei genitori, dominato dalla rassegnazione (preferisce “l’ignoranza all’inutile conoscenza di ciò che ci riserva il futuro”).
Quello che mi ha colpito maggiormente, e che rende il libro a tratti aulico, per quanto sempre scorrevole, è la descrizione di luoghi e persone attraverso luci e odori, che divengono quasi tangibili attraverso le pagine. Lo zio Aziz emana “un effluvio strano e insolito, un miscuglio di cuoio e profumo, di gomme e di spezie, oltre a un altro aroma meno definibile, che per Yusuf era l’odore del pericolo”; la carovana odora dei viaggi precedenti, un odore che si fa memoria; la città sul mare di letame, tabacco, legno grezzo, alghe. Ancor più la luce, che caratterizza ogni ambiente: una luce “liquida” nell’aria calda; la luce verde del paese sotto la montagna, che diventa “più densa, più morbida, per il peso dell’acqua sottostante” al lago; e infine viole, con “un filo di cremisi proveniente dalle grandi scogliere e dalle colline”.
Questo romanzo mescola perfettamente il lato onirico e quello realistico, mentre Il disertore si concentra più sulla storia, sui personaggi, sugli intrecci inaspettati che seguono l’arrivo in un piccolo villaggio di un malconcio viaggiatore inglese, arrivando fino agli anni ’50. In entrambi i casi, comunque, storie che “ci intrappolano nel loro groviglio, catturandoci per sempre”.
Titolo: Paradiso
Autore: Abdulrazak Gurnah
Editore: Garzanti
Lunghezza stampa: 291 pagine
Prezzo: fuori catalogo
ISBN: 881168322X
Grazie per questa bella recensione che finalmente ci aiuta a conoscere questo autore. Nonostante tutto quello che è stato detto, credo che il premio abbia avuto il pregio di spingerci a conoscere un autore e un continente di cui non si legge molto, a parte forse gli scrittori sudafricani… e qui faccio anche un mea culpa….
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Mi hai fatto venire voglia di leggerlo 💕
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