Sono rimasta incantata da questo libro. Temevo ci fosse troppa sofferenza, e certo la sofferenza c’è («se non hai mai provato il dolore psichiatrico, non dire che non esiste. Ringrazia il Signore e taci»), ma con un tocco gentile. Potremmo dire che è un manuale di umanità, più che di Psichiatria. Ti spalanca un mondo, un “abisso” per usare le parole dell’autore, ma con delicatezza.
Paolo Milone raccoglie la sua quarantennale esperienza nei reparti psichiatrici in frammenti poetici, accostati in risonanza, con echi montaliani (la lucertola sul muro, il basilico nei vasi e il giallo dei limoni, le scaglie di mare – sarà la “genovesità” comune). Ogni incontro, ogni paziente diviene poesia. «Entro in enormi stanze vuote,/ vedo il paziente in lontananza nel suo letto,/ attraverso metri cubi di niente,/ gonfiati di follia, dove infiniti mondi coesistono,/ e, dopo prolungato viaggio nel silenzio,/ giungo nell’isola della disperazione,/ mentre il padrone ha già svegliato i cani/ e sguainato il coltello».
Spiazzante, perché definisce anche il dolore psichiatrico «impoetico», al contrario di sentimenti quali la nostalgia, il desiderio, il timore, la fantasia (che in Psichiatria diventano depressione, dipendenza, ansia, delirio). Spiazzante perché la parola è spesso impotente in Psichiatria, «la parola è paglia»: il paziente non trova le parole per esprimere cosa gli succede, il dottore non trova le parole per capirlo. Resta la vicinanza, l’essere presente, sempre, in una lotta continua non solo con la malattia ma anche con la burocrazia, con i dirigenti tanto euforici quanto incapaci, con i colleghi assenteisti. E soprattutto con l’indifferenza, con questa società che non vuole vedere “i matti”: «nell’epoca manicomiale i matti venivano esclusi dalle città, oggi sono esclusi dalla mente». I matti non escono, non spendono soldi: il loro è un comportamento eversivo.
Il titolo: l’arte di legare le persone. In prima battuta, si riferisce al metodo della contenzione, che il dottor Milone ha usato spesso. Certo, i tempi sono cambiati, ma l’autore non è pentito del suo operato. «Non è cattivo chi lega, legare è faticoso. È cattivo chi abbandona il paziente». Alcuni pazienti, in piena crisi psicotica, non sono «convincibili», non possono essere lasciati in balia di se stessi, mentre la follia dilaga. La contenzione, per quanto brutale, è un metodo per riunire temporaneamente corpo e mente. D’altra parte, ricordando l’insistenza dello stesso autore per avere una stanza per i colloqui, lo scalpore suscitato all’inizio nei colleghi quando si ostinava a parlare per ore coi pazienti da solo, non possiamo certo pensare che il suo lavoro sia consistito solamente nel legare le persone. L’autore intende anche legare a sé, in quanto persone, non chiusi in un freddo rapporto paziente – psichiatra:
L’arte di legare le persone.
Legare le persone al letto.
Legare le persone a te.
Legare le persone alla realtà.
Legare le persone a se stesse.
Titolo: L’arte di legare le persone
Autore: Paolo Milone
Editore: Einaudi
Lunghezza stampa: 200 pagine
Prezzo: €18.50
ISBN: 9788806246372
Bello, Silvia, ma credo di non avere la forza di affrontare il tema, per il momento.
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Letto questa estate! É vero quando parli di echi montaliani, infatti l’ho letto come una raccolta di poesie, capitolo per capitolo con lentezza, assaporando le parole e le immagini.
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