Se la morte ti ha tolto qualcosa, tu restituiscilo di Naja Marie Aidt

Può una madre descrivere il dolore per la perdita di un figlio?
Ci sono parole per descrivere ciò che è inenarrabile?

 

Naja Marie Aidt è una scrittrice nata in Groenlandia, autrice di versi, racconti e romanzi. è madre di quattro figli, il primogenito è Carl Emil.

Carl: (vai al signif. 1.1; spec. dial) adulto di sesso maschile (in contr. a ragazzo); giovane uomo, che ha superato l’età dell’adolescenza, ma è ancora scapolo, giovane.

Emil: nome di ragazzo che viene dal latino aemilius, che significa gentile. Il nome Emil ha radici nella gens romana Aemilius. Il cognome potrebbe essere connesso al termine latino aemulus, col significato di laborioso, appassionato.

Il 16 marzo 2015 Carl muore. Questa è la data che fissa un prima e un dopo. Nulla è più uguale, nulla ha più senso. Davanti a un dolore così grande si può funzionare, è impossibile vivere. Attorno alla scrittrice e alla sua famiglia si ri-forma una comunità, le persone che Carl ha conosciuto e amato.

Ogni mattina bisogna rendersi conto che è tutto vero, ricominciare a soffrire, e sopravvivere.

[…] l’inquietudine ci viene incontro ogni mattina appena usciamo dal letto, quando incontriamo gli altri, smarriti, seduti intorno al tavolo della cucina, gli altri, amici, famiglia, bambini, giovani e adulti, siamo tanti, dormiamo su materassini gonfiabili e divani, dormiamo sonni leggeri pieni di incubi o sonni pesanti carichi di alcol e ogni mattina dobbiamo renderci conto di tutto, di nuovo,ì. Dobbiamo capire. Geliamo. Allora beviamo del caffè. Poi ci laviamo i denti. Poi arriva un amico. Poi l’amico dice: “Facciamo una passeggiata”. L’amico dice: “Andiamo”. Metti un piede davanti all’altro. Camminiamo. è mattina, la luce è pungente. Alla luce la paura si diffonde intorno a noi come olio sull’acqua. E andiamo alla deriva. Siamo tronchi alla deriva, bastoni, frammenti d’ossa. Non siamo più noi. Non riusciamo a contenere noi stessi. Siamo senza io. Siamo diventati noi.

Non c’è via di fuga, non c’è salvezza. C’è il silenzio, la disperazione, il vuoto. La volontà di morire insieme a quel figlio, di urlare, di svuotarsi. Dov’è quel bambino che è stato nel suo utero nove mesi? Perché non c’è più? Cosa rimane di noi dopo una perdita così grande?

Sono domande senza risposta. La scrittrice allora, per frammenti, racconta. Rivive la maternità, riporta ricordi, frasi tratte dal suo diario. Si appella al dolore altrui, quello di Stéphane Mallarmé, che non scrisse un libro sul figlio di otto anni, Anatole, che morì nel 1879, ma 202 frammenti o annotazioni; quello del poeta polacco Jan Kochanowski che scrisse diciannove lamenti per la perdita della figlia minore, Urszulka; quello di Joan Didion, che scrive della figlia in Blue nights; e C.S. Lewis, Jacques Roubaud, Anne Carson.

È un’opera poetica, dolorosa, potente,  lacerante. Ma necessaria. Importante. Insegna a vivere, nonostante tutto. Un figlio fa parte di noi, madri e padri, sempre e comunque.

È una sensazione molto fisica:
Lui è dentro di me.
è dentro il mio corpo.
porto il suo essere nel mio corpo.
Lo porto ancora dentro il mio corpo.
Come quando giaceva nel mio utero.
Ma ora è la sua vita intera che io porto.
Io porto la tua vita intera.

 

 

Titolo: Se la morte ti ha tolto qualcosa, tu restituiscilo
Autrice: Naja Marie Aidt
Editore: Utopia
Traduttrice: Ingrid Basso
Pagine: 144
Prezzo: € 18,00 cartaceo, € 9,99 ebook
EAN: 9791280084323

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