Sole, grande astro orientale, berretto d’oro della mente,
che amo portare di trasverso, ho voglia di giocare,
perché gioiscano i cuori finché siamo entrambi vivi.
Che fine ha fatto Ulisse, dopo il ritorno a Itaca? Nel 1925 il poeta greco Nikos Kazantzakis ha messo questa (folle?) idea in versi, 33333 per la precisione, divisi in 24 canti. Un lavoro di tredici anni e mezzo, riprendendo il personaggio dantesco, più un pizzico di superuomo nietzschiano; la hybris di questo Ulisse non lo porterà oltre le Colonne d’Ercole, antico confine cristiano, bensì in un pellegrinaggio alle fonti del Nilo / dell’immortalità, fino a spingersi fra i ghiacci dell’estremo Sud.
Uomo dal “multiforme ingegno” anche Kazantzakis, per la vastità dei temi affrontati: ci guida per mano dall’avventura di stampo più classico della prima parte, in cui ancora si bruciano città, alla filosofia mistica della seconda, in cui Ulisse diventa Asceta. Un’opera che riesce a far convivere personaggi simili ai vecchi compagni di Ulisse (indimenticabili i soprannomi, come Capitan Conchiglia e Doppioventre) e raffigurazioni di Gesù Cristo (il pescatore gentile) e di Buddha (il Principe della Terra). Non manca il cameo dello stesso poeta, in veste del principe Eliàs, fiero cantore che per dare voce alle corde della sua lira non esita a sacrificare i sette figli.
Se dovessi scegliere il tema principale, sceglierei la libertà: “la Libertà, fratelli, non è un vino, né una donna dolce,/ né beni nelle dispense, non è un figlio nella culla;/ è un canto altero e solitario che nel vento muore!”, dice già il Proemio. Questo desiderio, questa fame spinge Ulisse a cercare nuovi compagni, a costruire una nuova nave, ad abbandonare di nuovo moglie, figlio, patria. Al contrario del suo vecchio amico Menelao, che a Sparta invece si è abbandonato ai lussi e all’abitudine.
La ricerca di libertà di Ulisse è la molla che fa scattare chi ne viene a contatto: ma mentre per l’eroe la libertà coincide appunto con la ricerca, con il viaggio, rescindendo ogni legame, i vari personaggi sono incoraggiati a trovare ognuno la propria strada; così Elena, lasciata la decadente Sparta, resta a Creta dove avrà una nuova vita con “un barbaro giardiniere biondo”.
La libertà è anche l’emancipazione che cercano gli schiavi d’Egitto: Ulisse sente che “un’aspra voce gli monta dentro” e cerca di aiutarli, in una visione del mondo molto moderna, in cui i capi della rivolta richiamano Trockij, Stalin, Lenin e Rosa Luxemburg (Kazantzakis si avvicinò al comunismo, pur senza mai aderirvi appieno).
Il suo viaggio sembra avere termine con la visione della Città ideale, ispirata a Platone, Agostino e Tommaso Moro, durante un ritiro su un monte: alla Mente “grande cerimoniera” segue necessariamente l’Azione (“l’impulso tremendo della mente che la carne smuove”), la Città dovrà essere costruita con “lacrime, sudore, sangue e terra”, ma non potrà sopravvivere nella realtà, venendo distrutta da un terremoto. Ecco il pessimismo eroico di Kazantzakis: “libertà vuol dire battersi senza speranza in terra”, “lotto e soffro per la libertà senza compenso alcuno”; ma questa lotta rende l’Uomo pari a Dio, un suo compagno: “Dio è l’ombra enorme dell’Uomo che lotta con la Morte”, “Dio non siede sulle nuvole, neppure nell’Ade nero,/ non attraversa come un’ombra la fantasia dell’uomo;/ percorre anche lui l’arida terra, lotta insieme a noi!”. La libertà assoluta, e “feroce”, è che “verità, pura virtù, bellezza” sono solo “grandi ombre”, che tutte le cose sono illusioni destinate a svanire: “ormai posso vedere/ cielo, terra e mare, come imprese dei miei occhi”. Con tale consapevolezza Ulisse può finalmente affrontare la Morte, “istante di libertà totale”, che lo accompagna e attende un suo cenno, “come una vecchia amica” (perdonate la citazione di Harry Potter).
Oltre a mille altre tematiche, richiami, sfumature di cui sarebbe troppo lungo parlare, sono costretta, per ignoranza mia, a tralasciare la questione – centrale per Kazantzakis – della lingua greca moderna, rinnovata quanto recuperata, e dell’ottima traduzione di Nicola Crocetti. Resta comunque un’opera godibilissima, scorrevole nelle parti avventurose, mistica al punto giusto nelle visioni, decisamente lirica nelle descrizioni, di cui lascio giusto un esempio per concludere:
Un vento fresco scende giù dal monte con ali lievi;
la Stella radiosa del mattino, come colomba bianca,
ruzzola tra gli olivi argentati e appagata gioca.
Un piccolo gallo roco saltella sulla terrazza,
volge la gola giovane, inesperta, e chiama il sole,
il gallo screziato con gli speroni e la cresta d’oro;
il sole sente il grido del nipotino e si affaccia.
Titolo: Odissea
Autore: Nikos Kazantzakis
Traduzione: Nicola Crocetti
Editore: Crocetti
Lunghezza stampa: 800 pagine
Prezzo: €35,00
ISBN: 9788883063213
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