State leggendo un libro nuovo di zecca, un prodotto editoriale perfetto, trama accattivante, traduzione impeccabile, non riuscite a metterlo giù. E poi arriva lui. Appena lo vedete si spengono i violini e non siete più sicuri dei vostri sentimenti. Lui, l’immancabile refuso, quel piccolissimo, insignificante errore che è riuscito in un’impresa quasi impossibile: sfuggire a una serie estenuante di riletture, passare inosservato davanti agli occhi di svariati professionisti e ottenere il premio tanto ambito, riproducendosi migliaia di volte in altrettante copie di quel libro.
Spesso è solo una lettera sbagliata, un carattere mancante, un errore trascurabile che il nostro cervello supera agevolmente. Dovremmo notarlo a malapena, eppure sappiamo che è lì, l’incanto della perfezione si è spezzato. Alcuni refusi però sono dei piccoli capolavori. Qualche tempo fa, mentre lavoravo alla traduzione di un thriller, il mio editor mi telefonò ridendo fino alle lacrime per segnalarmi un carico di “armi da fuco” che aveva trasformato i bassifondi di Los Angeles in un alveare. Per dirla con il linguista Cortelazzo, “i refusi veri ci aprono sprazzi su mondi possibili spesso più divertenti, o più sinceri e veritieri, di quello reale.” Ripensando ai miei errori più spassosi, io non posso che essere d’accordo.
Ci sono alcuni casi, però, in cui il refuso supera sé stesso e la fa in barba a tutti, schivando perfino il vaglio del grafico e sfuggendo a controlli ancora più serrati. E così, in un impensabile trionfo, qualche volta il refuso conquista la copertina.
Amos con la zeta

Uno degli errori più noti è forse quello di casa Feltrinelli, che nel marzo del 2017 pubblicò “Tocca l’acqua, tocca il vento” attribuendolo a un improbabile Amoz Oz con la zeta. Il libro fu ritirato dalla vendita in tutta fretta e sostituito con un’edizione corretta. Non abbastanza rapidamente, però, da evitare che i collezionisti ci mettessero sopra le mani. Alcune copie possono essere acquistate ancora oggi nel mercato dell’usato a prezzi maggiorati, mentre quella che compare nella foto è stata conservata dalla Biblioteca comunale di Fabrica di Roma, dove l’errore è stato notato a una prima occhiata.
Un massaggio per parlare alle masse

Non tutti gli errori, si sa, vengono per nuocere. Nel 1969 Marshall McLuhan pubblicò un testo che sarebbe diventato un caposaldo della teoria della comunicazione. Il libro avrebbe dovuto intitolarsi “Il medium è il messaggio”, ma un buffo errore a carico della tipografia modificò l’ultima parola in “massaggio”. Eric McLuhan, il figlio dell’autore, racconta che suo padre rimase così divertito da quell’involontario gioco di parole, che chiese al tipografo di mantenerlo. “Mira dritto al target!” Esclamò McLuhan, rendendosi felicemente complice di un refuso che ha resistito alla prova del tempo: “Il Medium è il Massaggio.”
Harry Potter e la magia dei refusi

La prima edizione del libro “Harry Potter e la pietra filosofale”, il volume che inaugura la saga del giovane mago, conteneva una certa quantità di refusi che l’hanno resa incredibilmente preziosa. La retrocopertina delle prime copie stampate aveva una lettera mancante e la “philosopher stone”, la pietra filosofale, si era trasfigurata come per magia nella “philospher stone”, che suona più simile a una fantomatica “pietra filosfera”. Alcune copie superstiti di questo volume sono state vendute all’asta per svariate decine di migliaia di dollari.
Il brodo con l’orso

Anche l’edizione Einaudi della Trilogia di Arnold Wesker aveva in origine uno spassoso errore di stampa, segnalatomi dall’amica Laura Bozzi. La piece teatrale “Brodo di pollo con l’orzo”, che narra le vicende di una famiglia ebraica nel corso di due decenni, è stata inconsapevolmente arricchita di un raro e ben più pregiato ingrediente – un minuscolo refuso, sfuggito agli occhi di tutti, lo ha trasformato in un prelibato “Brodo di pollo con l’orso.”
Una somiglianza straordinaria

Per finire, un celebre errore di copertina che ha poco a che vedere con il mondo dei refusi: nel 2014 Einaudi pubblica una nuova edizione delle lettere di John Fante. In copertina, però, c’è una foto del poeta Stephen Spender, che a dire il vero somiglia discretamente al nostro caro John. Einaudi pubblicò subito un tweet ammettendo l’errore: “Abbiamo sbagliato la foto di copertina delle LETTERE di John Fante. Quello è Stephen Spender, non John Fante. Rimedieremo in ristampa.” Lo scrittore Tullio Avoledo replicò con alcune risposte al vetriolo, chiedendo una fotografia di “Richard Gere con Achiko” (sic.) per la nuova ristampa del suo libro “L’anno dei dodici inverni”. Naturalmente, la sua richiesta non fu mai esaudita da Einaudi. Chissà, forse perché anche il suo tweet conteneva un refuso?
Grazie per la newsletter. Volevo segnalarvi che il link all’articolo sul sito non funziona. Saluti, Luigi
>
"Mi piace""Mi piace"
Troppo spassoso! Come iniziare la settimana con un sorriso.
"Mi piace""Mi piace"