Ho letto Vita e Destino.
Parla della Russia. E del mondo. Di Vita e di Destino. Di guerra e di lotta. Di amore e odio. Di spirito e di materia. Di storia e di escatologia. Dell’aberrazione e dell’eroismo. Del nostro presente, frutto del nostro passato. Dei grandi e dei piccoli.
Vita e Destino parla di tutto. Come Guerra e Pace. Vita e Destino è il Guerra e Pace del ‘900. È per questo che ho ripreso la recensione di GeP, perché senza il libro di Tolstoj non si comprenderebbe Grossman. Commentando il libro in PdR ho detto: prendi Guerra e Pace, togligli la speranza e hai Vita e Destino. Certo, questo in sintesi, in estrema sintesi.
Mi sono chiesta in questi mesi, da quando ho finito di leggerlo, come potessi recensire questo libro. Dove trovare le parole giuste per un tale capolavoro.
Innegabilmente è un romanzo russo, profondamente russo, non solo perché parla della Russia staliniana, ma perché rientra nella tradizione del grande romanzo russo. Quello di Tolstoj, appunto, di Dostoevskij, di Turgenev, di Lermontov e, come questi, raggiunge vette ineguagliate e ineguagliabili.
Vita e Destino è uno di quei libri che io definisco “totali”; totale perché affronta la condizione umana, la seziona come si fa con un corpo in un’autopsia, sviscera qualunque forma di malattia e qualunque forma di perversione o malformazione, la porta alla luce, ne fa oggetto di studio introspettivo per poi restituire al lettore non solo la conoscenza ma anche la “coscienza” degli eventi e dei comportamenti umani che generano gli eventi. Così VeD diventa una sorta di mappa per penetrare uno dei momenti che maggiormente hanno segnato la nostra storia e capire come si sia arrivati a tanto orrore: la guerra totale, i lager, i gulag, lo stalinismo, il nazismo.
Lo sfondo è la Battaglia di Stalingrado. Il romanzo inizia nel momento di massima espansione delle armate tedesche e si chiude con le armate russe che accerchiano il nemico e la resa del Generale Paulus.
I protagonisti? Be’, sono numerosissimi. Ho letto, non ricordo dove, una recensione in cui si diceva che leggere VeD era come attraversare una folla di persone in una piazza, sfiorarle, ritrovarle, avvicinarle, rivederle dopo tempo. Ed è esattamente così che mi sono sentita, presa in un vortice di vite segnate da un unico destino. La maestria inarrivabile, a mio parere, di Grossman sta nel dare rilievo a ciascuno dei personaggi e riuscire a descrivere ugualmente uomini e donne, vecchi e giovani, addirittura bambini, dando a tutti la giusta rilevanza. Sembra che il messaggio dietro a tutto sia: non importa quanto grande sia la Storia che stiamo vivendo, ogni persona, ogni vita conta.
Conta la vita di chi è internato in un lager, contano gli ultimi istanti prima di morire, contano di sguardi e le parole in un gulag perché definiscono un uomo, contano i gesti sotto le bombe a Stalingrado, conta la condivisione di una bottiglia di vodka. E questo conta per il generale che disubbidisce a Stalin per salvare più uomini possibile, mettendo a rischio la propria vita, come conta per una donna che decide di morire solo per non lasciare solo un bambino abbandonato da tutti e deportato in un lager.
A volte Grossman ti fa sprofondare nell’aberrazione dell’animo umano, per regalarti subito dopo sprazzi di poesia, ma non si tratta di speranza. A me pare si tratti di una combattiva rassegnazione. Pur sapendo di perdere, si sceglie di continuare a lottare. E si lotta per qualcosa che non è neanche ricerca di redenzione quanto piuttosto la necessità di non soccombere. La necessità di #restareumani.
Prendiamo ad esempio Vuktor Strum, un brillante genio della fisica che elabora una teoria tale da competere con Einstein. Strum alla fine del libro sceglie la ribellione, una ribellione che nasce dalla necessità di non soccombere alla paura dello stalinismo. La sua lotta contro la paura ne fa uno dei personaggi meglio descritti della letteratura. Strum sa che non ha possibilità contro il Terrore, ma sa che se non si ribellerà non sarà all’altezza di chi lo ha preceduto, non potrà persino rievocare la madre morta, non sarà degno del suo ricordo
La capacità di Grossman di descrivere l’animo umano, il flusso di sentimenti, è di una rarità tale da renderlo davvero immortale. Basti pensare alla madre (Ljudmila Saponisnikova) che si precipita in una Russia sotto assedio per abbracciare il figlio ferito in battaglia e trovarne solo una fredda tomba. Il lettore è lì, con Ljudmila a piangere per ogni figlio di madre morto in ogni guerra.
E questa operazione di umanizzazione si spinge molto oltre, fino a rendere umano il mostro. Grossman immagina Hitler di fronte alla sconfitta di Stalingrado e alla paura della fine, che per lui si materializza nella sera che cala su un bosco. Hitler è solo. Il lettore che ha avuto compassione per quella madre cui è stato strappato il figlio poco più che bambino si ritrova a compatire il mostro che ha causato tutto quel dolore. Subito dopo Hitler, Grossman immagina Stalin che valuta, riflette, considera la vittoria di Stalingrado, la sua vittoria e la vede non come la conferma della sua grandezza ma come il riscatto di un povero georgiano ignorante di fronte agli uomini da cui si crede deriso, Churchill e Roosevelt. Se Hitler è solo un uomo solo e sconfitto che teme la sera, Stalin è solo un uomo insicuro che vuole dimostrare la propria grandezza.
Dal punto di vista narrativo Grossman ha compiuto un’operazione di rara difficoltà. Da una parte c’è il romanzo corale, con la partecipazione di decine di personaggi nel ruolo di comprimari. Tale coralità permette all’autore di avere uno sguardo onniscente. Grossman conosce “vita e destino” di tutti i suoi personaggi e proprio per questo sembra averli scelti come protagonisti. È come se conoscendone la fine Grossman sa chi merita di essere raccontato e chi no.
L’altra difficoltà narrativa sta nella scelta di Grossman di adottare la narrazione descrittiva e impersonale e il flusso di coscienza. Questo duplice metodo permette al lettore sia di conoscere il contesto in cui i personaggi si muovono sia la loro psiche, la ragione delle loro decisioni, delle scelte che compiono. Allora in un contesto quale il bombardamento di Stalingrando, in un preciso momento in cui tutti sono evacuati tranne i marconisti che ricevono e trasmettono gli ordini (narrazione descrittiva), seguiamo il pensiero di un soldato e una marconista che in un rifugio sotto le bombe si innamorano. Proprio lì, proprio quella notte. Quando la morte sta per colpirli e non c’è speranza si addormentano aggrappandosi l’uno all’altra per cercare calore, per trovare conforto, ancora una volta, per restare umani. Leggiamo i pensieri di lui, il timore di essere respinto; seguiamo il sollievo di lei perché lui le piace e perché se lui starà con lei i vecchi soldati puzzolenti non potranno molestarla.
Ancora, nel pieno della narrazione della battaglia il piano si sposta in un lager dove sono internati comunisti russi accusati di tramare contro il sistema del lager e organizzare una rivolta. Il riferimento dei detenuti, un vecchio comunista combattente, viene chiamato dal capo militare del lager che vuole corromperlo per sapere la verità. E qui Grossman si supera. Iniziano decine di pagine di flusso di coscienza del gerarca che cerca di autogiustificarsi rispetto a quello che fa, ovvero sterminare migliaia di persone in un sistema perverso. Il flusso di coscienza è interrotto dall’arrivo del detenuto e qui parte un dialogo a due di rara bellezza. Uno dei più belli della letteratura, almeno per quel poco che ho letto io. I due che sono su due piani completamente differenti (vittima e carnefice) si confrontano su un piano di assoluta parità, dove la posta in gioco è la direttiva morale.
Grossman raccontando l’assedio di Stalingrado sa di cosa parla, l’ha vissuto in prima persona come reporter di guerra. Grossman è ebreo, conosce il terrore della popolazione ebraica che con l’avanzare delle truppe tedesche scompare nei camini dei lager. Grossman è uno scrittore, conosce il terrore degli scrittori non perfettamente allineati con il regime in URSS. Per questo sceglie di restare umano. Se fosse solo un reporter, descriverebbe gli eventi e li spersonalizzerebbe. Invece diventando uno scrittore resta un Uomo che sa riconoscere la poesia nelle atrocità della guerra.
Grazie ad Adeplhi per tenere in catalogo questo capolavoro, in barba alle vendite e chiediamo magari di tradurre il prequel di questo romanzo, mai comparso in Italia Za pravoe delo (Per una giusta causa). Si tratta di un desiderio, ma spero davvero di riuscire a realizzarlo!
Consigliato: ai lettori forti. A quelli che alla fine di Guerra e Pace si sono chiesti se avrebbero letto mai più un libro simile
Sconsigliato: l’unico avversario che incontrerete nella lettura di questo libro siete voi stessi. Vita e Destino scava nell’animo ed è facile rifiutarlo. La mia lettura è stata lenta, interrotta e ripresa. La notte sognavo di essere sotto le bombe di Stalingrado o dormire su un tavolaccio in Siberia o di aggirarmi in una camera a gas. Ma una volta iniziato, abbiate la forza di terminarlo!
Edit: Zaidenoll ha scelto Vita e Destino come suo libro dell’anno e della vita, nel Ci mettiamo la faccia 2019.
Autore: Vassilij Grossman
Casa Editrice: Adelphi
Traduzione: Claudia Zonghetti
Lunghezza stampa: 750 pp
Prezzo di copertina: 18,00€
L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.
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Bella recerussa! ❤ Grande Tatiana.
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Tatiana ti sei superata! Grande rece
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Grazie!!! ❤
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Aggiunto immediatamente alla lista dei libri da leggere! 🙂 grazie del consiglio!
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