Come i miei tre lettori ormai dovrebbero sapere, sono una fan della prima ora di Yeruldelgger. E non solo perché, sin dal primo momento che l’ho letto, mi sono perdutamente innamorata del bel manzo…ehm del commissario mongolo. Sono una fan per una serie di motivi che non fanno che confermarsi, proseguendo a leggere la saga.
Ne enumero qualcuno, in ordine sparso. L’ambientazione mongola, accurata ma vivida come un bel quadro. I temi trattati, tra cui il rapporto dei nomadi con la modernità, le relazioni della Mongolia con la Russia e la Cina, e soprattutto in quest’ultima avventura, il resto del mondo. I personaggi, tutti indimenticabili. La struttura narrativa, sempre briosa, mai noiosa, un po’ western, un po’ spy-story, volutamente iperbolica. E poi, soprattutto, la scrittura di Ian Manook, veramente apprezzabile e tradotta egregiamente da Maurizio Ferrara.
Sono da sempre innamorata di Yeruldelgger, dicevo, ma da quando ho partecipato insieme ad altri fortunatissimi blogger ad un incontro con Ian Manook, invitata da Fazi Editore, mi sono innamorata anche del suo autore. Tendo a non voler conoscere gli scrittori, specialmente se i libri mi piacciono molto. Non amo confrontare la mia idea di loro con le loro personalità, temo sempre di incontrare nella loro vita qualcosa che mi faccia apprezzare meno la loro opera. Invece con Patrick è accaduto esattamente l’opposto: poter parlare con lui della genesi e dei significato dei suoi libri, mi ha ancor più fatto apprezzare la qualità del suo lavoro e della sua scrittura. Senza contare che Patrick è anche a parole un ottimo narratore, che racconta di viaggi, di libri, di scrittura con leggerezza e arguzia.
Durante l’incontro, di cui ho twittato su @recerusse #Yeruldelgger, Patrick ci ha raccontato di come sia nato il romanzo, di come costruisce i personaggi femminili, di quale sia il suo rapporto con la Mongolia e le sue tradizioni, e ci ha parlato anche di come il suo essere armeno abbia influenzato il suo modo di vedere la vita e di scrivere. Patrick è qualcuno che ha molto vissuto e molto viaggiato e sicuramente, molto pensato. Da antropologa quale sono (eh si, nella mia vita reale), ho apprezzato moltissimo l’approccio “neutro” e non giudicante, privo di stereotipi, a tratti crudo, con cui Patrick scrive.
La brutta notizia, è che questo capitolo dovrebbe segnare il punto nella saga finale di Yeruldelgger. Ian Manook ha voglia di scrivere altro e ci affidiamo a lui per le prossime avventure. Lo ringrazio moltissimo per avermi portato nella steppa, guardare l’immensità dell’erba che ondeggia al vento. Ed a Ulan Bator, nelle peggio bettole e nelle bancarelle per strada, e spero davvero di tornare a viaggiare prestissimo con lui.
Titolo: La Morte Nomade
Autore: Ian Manook
Editore: Fazi
Pagine: 413
In calce, ringrazio tanto Fazi Editore per avermi dato la possibilità di incontrare Patrick, e tutti i colleghi blogger con cui ho condiviso l’esperienza. Sono tutti fantastici!
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