Come si fa a spiegare che non è mai l’ispirazione a spingerti a raccontare una storia, ma piuttosto un misto di rabbia e lucidità? Come fai a dire: No, qui non troviamo nessuna ispirazione, troviamo un paese meraviglioso e lacerato, e in un modo o nell’altro adesso ne siamo parte, e dunque anche noi siamo lacerati, e proviamo vergogna, confusione e talvolta disperazione, e stiamo provando a capire se possiamo fare qualcosa per rimediare a tutto questo.
Valeria Luiselli
Quaranta domande, sempre le stesse, rivolte ai minori in ingresso negli Stati Uniti. Minori in fuga da situazioni di miseria, di maltrattamenti fisici e mentali, sfruttamento, negligenza, abbandono, persecuzione da parte di bande criminali, che cercano di ricongiungersi con familiari già sul territorio americano, con l’aspirazione di svegliarsi dall’incubo in cui sono nati.
Valeria Luiselli, una nonresident alien, secondo il gergo della legge sull’immigrazione degli Stati Uniti, si offre, nel 2015, come interprete volontaria per il Tribunale Federale dell’Immigrazione di New York. Da lì passano tutti i minori che arrivano negli States consegnandosi, una volta superato il confine, alla polizia.
I minori vengono trasferiti in un centro di detenzione, chiamato hielera (frigorifero), nome dovuto sia all’acronimo dell’ufficio immigrazione, ICE (Imigration and Customs Enforcement), sia al fatto che “le persone sono sottoposte di continuo a raffiche d’aria gelida quasi a voler evitare il rischio che la carne straniera possa andare a male troppo in fretta, essendo chiaramente ricettacolo di ogni tipo di microbo mortale”.
I dati che Luiselli snocciola per quanto riguarda stupri, omicidi, rapimenti, sparizioni sono impressionanti: l’ottanta per cento delle donne viene stuprata, tanto che la maggior parte di loro prende un contraccettivo prima di partire. Molte persone scompaiono. Dal 2006, secondo alcune fonti, 120.000 migranti sono scomparsi nel nulla. La Custom Map of Migrant Mortality include nome, luogo e data di morte dei migranti, alcuni dei quali uccisi dai proprietari terrieri o dai vigilantes, per questioni ideologiche o di puro divertimento (agghiacciante solo pensarlo).
Sono dati e situazioni che possono dare l’idea che ciò che sta accadendo ai confini degli Stati Uniti stia succedendo anche sulle coste africane, dove i governi europei inviano “aiuti” per trattenere là coloro che arrivano dal sud del mondo.
Ero bambina quando chiesi a mia madre, che durante il secondo conflitto mondiale era un’adolescente, se lei fosse stata a conoscenza degli orrori compiuti dai nazisti nei campi di concentramento. Lei mi rispose di no. Ma cosa potremmo rispondere, noi, alle generazioni future che ci rivolgessero una tale domanda? Come potremmo trovare delle scuse?
Perché essere consapevoli di ciò che sta accadendo nel nostro tempo e scegliere di non fare niente in proposito è diventato inaccettabile. Perché non possiamo più permetterci di considerare normale l’orrore e la violenza. Perché tutti quanti saremo chiamati a render conto di ciò che succede sotto i nostri occhi senza che nemmeno osiamo guardare.
La responsabilità di tutto questo è anche frutto delle politiche di sfruttamento dei paesi “avanzati” nel confronto di realtà più povere. Interessante questo passaggio, nel quale possiamo tranquillamente leggervi anche la situazione europea.
Negli Stati Uniti l’atteggiamento nei confronti dei piccoli migranti non è sempre platealmente negativo, ma in generale si basa su una specie di equivoco o di ignoranza volontaria. Il dibattito intorno alla questione ha sorvolato sulle cause dell’esodo con ostinazione e cinismo. Quando si discutono le cause, secondo il consenso generale e il presupposto implicito l’origine del problema è circoscritto ai paesi che “mandano” i minori e alle loro difficoltà interne. Nessuno avanza l’ipotesi che le cause siano profondamente radicate nella storia condivisa di questa parte del mondo, e dunque non si tratti di qualche remoto problema in un paese straniero che nessuno sa collocare sulla carta geografica, ma sia di fatto una questione transnazionale che coinvolge anche gli Stati Uniti; e non come osservatore distante o vittima passiva che ora deve occuparsi di migliaia di minori indesiderati in arrivo dal confine meridionale, quanto piuttosto, e storicamente, parte attiva delle circostanze che hanno generato il problema.
La convinzione che il movimento migratorio di tutti questi minori sia un “loro” problema (dei barbari del Sud) spesso è così tenacemente radicato che “noi” (la civiltà del Nord) ci sentiamo esonerati dall’offrire qualsiasi soluzione. La devastazione sociale in Honduras, El Salvador, Guatemala e gli altri paesi è spesso considerato un problema centroamericano di “violenza di bande criminali” che va tenuto sull’altro lato del confine. Si parla ben poco, per esempio, del traffico d’armi dagli Stati Uniti al Messico o al Centro America, legale o illegale che sia; nessun cenno al fatto che il consumo di droghe negli Stati Uniti è ciò che fondamentalmente alimenta il traffico di stupefacenti in tutto il continente.
Cosa possiamo fare noi, allora? Cercare di capire, essere consapevoli, non ignorare, non voltare la faccia dall’altra parte. Restare informati e informare, fare delle scelte. Per non dover avere la responsabilità di rispedire indietro, nell’orrore da cui scappava, quella bambina a cui Valeria Luiselli, porgendo una delle quaranta domande previste, chiede “Per quale motivo sei venuta qui?” “Perché volevo arrivare”.
Titolo: Dimmi come va a finire
Autrice: Valeria Luiselli
Editore: La Nuova Frontiera
Pag: 96
Prezzo: € 13,00
ISBN: 9788883733253
bella Agata, grazie!!
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Grazie Agata, lo comprerò sicuramente. Quella domanda che ti fa tu me la faccio anch’io da anni, che non solo c’ero ma sapevo, e allora mi manca il fiato. Poi, però, mi rinfilo nel faticoso tram tram quotidiano e non faccio nulla.. mi vergogno per questo.
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È quello che facciamo tutti. Credo che almeno dobbiamo cercare di continuare a restare informati.
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