Vi dico solo che ci sono cinque o sei russi che stanno leggendo Yeruldegger – ed io mi sono accaparrata il diritto alla rece minacciando purghe come se non ci fosse un domani. E vi dirò, se Yeruldegger comincia a farmi lo stesso effetto possessivo ed adoratorio che mi fa Harry Hole, la situazione è grave!
Ma in questa seconda avventura Ian Manook si conferma un fantastico narratore, capace in poche righe di trasportarci in Mongolia. Apri il libro ed oplà, ci sei! Gliene sono davvero grata per questo. I personaggi li conosciamo già – Yerul, ovviamente, ma anche Solongo, Oyun, Grantulga, Saraa. La storia è appassionante, costruita bene, a tratti fantastica, raccontata con uno stile pacato e sempre efficace, farcito di sogni, di demoni, di chiari di luna, di odori di carne, di vapore nel freddo.
Aveva comprato un pacchetto di biscotti duri e agri di latte secco a una vecchia buriata rappresa dal freddo nella sua tenda. Li sgranocchiò guardando la città che continuava a vivere intorno a lui. Mocciosi infagottati in parka contraffatti, ma con il collo aperto. Bonzi a piedi nudi nei sandali, vestiti leggeri con trenta sotto zero come lo erano nel cuore soffocante dell’estate. Nomadi in deel imbottiti, immobili, come perduti, tra la folla all’occidentale. I neon all’europea, spenti, al di sopra delle insegne in cirillico. Ambulanti abusivi, davanti a botteghe di qualsiasi cosa. Chioschi di kushuur e di buzz, affumicati di vapori grassi e odorosi e ricoperti di pubblicità dell’ultima soda light alla moda. I visi degli ex nomadi raschiati dai venti e dagli inverni, quelli carichi di cipria e di rimmel delle donne di oggi. Tutta quella gente complementare e insieme contrastante, che un traffico fuori controllo trasportava nella sua corrente come ciottoli sempre più consumati. Quanto tempo ci sarebbe voluto affinché tutti diventassero granelli della stessa sabbia di una stessa spiaggia sul greto do un fiume prosciugato dal dzuud nella steppa eterna?
Ed anche ironico, con i continui rimandi dei Yeruldelgger alle serie poliziesche tipo CSI e Criminal Casa. E tanto, tanto ancorato nel nostro mondo, in questo 2017 in cui tutto il mondo è paese, anche la Mongolia pur così lontana. Il romanzo è bello, il ritmo muta di pagina in pagina, ora più incalzante, ora lento, ai ritmi delle citazioni di filosofi francesi e rimandi a Dino Buzzati. La lentezza e la vastità, il freddo che gelano le ossa, ci rimangono dentro molto dopo aver girato l’ultima pagina.
E quindi, a nome di tutti gli affetti da #Yeruldelggermania , dico grazie a Ian Manook, e daccene ancora!
Titolo: Tempi Selvaggi
Autore: Ian Manook
Editore: Fazi
Pagine: 473
Eccomi fra i russi che stanno leggendo Yeruldelgger n.2. A parte qualche parte un poco più lenta concordo con te. In questo libro Yerul mi pare anche un poco meno supereroe, più disilluso….e poi quando cita Il Deserto dei Tartari è super!
"Mi piace"Piace a 2 people
Ok, lo leggo, lo leggo 😉
"Mi piace"Piace a 1 persona