Le Madri


Pare che l’editoria americana stia iniziando finalmente a dare un poco più spazio alle autrici afroamericane, che ho scoperto da qualche anno e trovo meravigliose, mentre quella italiana continua a starle dietro in questa direzione con grande fatica. Ad aprile, però, SUR ha finalmente pubblicato Toni Cade Bambara, mentre  Giovanna Scocchera ha tradotto per Giunti  The Mothers,  romanzo d’esordio di una giovane autrice afroamericana che ha iniziato a scrivere le prime bozze di questo libro ancora diciassettenne, esattamente l’età che attribuisce alla protagonisa Nadia. Intelligente e talentuosa come quest’ultima,  la scrittrice  Brit  Bennett fino a poco tempo fa era conosciuta principalmente per i suoi brillanti saggi in cui scrive di razzismo, segregazione e violenza della polizia negli Stati Uniti. Sempre come la sua protagonista, inoltre, Bennett ha lasciato il sud della California dove è cresciuta e da cui prende numerosi spunti per  tracciare il profilo della comunità nera che fa da sfondo alle storie.

 “Le Madri” del titolo sono il coro narrante,  rappresentato dalla voce delle anziane donne nere della Upper Room Chapel di una cittadina californiana, capace a volte di riconoscere in sé le proprie distinte singolarità. Come in una esibizione tragica, il coro delle Madri è sempre presente, non devia il corso degli eventi ma li narra con partecipazione, cercando di spiegarli,  non esente da giudizi morali  ma non per questo rimanendo fisso in essi. A tratti, il coro, emette giudizi implacabili e gretti, a volte accarezza con lo sguardo, con comprensione e compassione, a volte è amorevole e lungimirante.

Ogni discorso che abbia a tema la maternità e l’essere madre, dalla sua classica esaltazione alla facile denigrazione dei tempi moderni, porta in sé il rischio di scivolare in discorsi e contro-discorsi stereotipati, superficiali e scollati dalla realtà e dai desiderata delle singole donne, nonché privi di totale rispetto nei confronti delle unicità di vita altrui.  Bennett riesce, nel corso di una lunga narrazione, ad offrire varie sfaccettature di ciò che maternità possa significare e di come si riesca ad essere “madre”, attraverso personagge e situazioni che imporrebbero la sospensione di un qualsivoglia giudizio ma che in verità fanno temere, a chi legge, di trovarsi catapultate nella Upper Room dalla parte del coro.

L’evento da cui prendono spunto le narrazioni, che pare inserirsi alla perfezione nell’attuale “nuovo” corso politico americano e che determina e cambia le vite di Nadia, Luke e Aubrey, è l’aborto di Nadia. Il coro lo racconta subito senza troppa esitazione:

Nadia Turner si fece mettere incinta dal figlio del pastore e andò a risolvere la questione in una clinica per aborti giù in città. Aveva diciassete anni, allora. Viveva con il padre, un uomo della Marina, e senza la madre, che si era suicidata sei mesi prima. Da quel momento la giovane si era guadagnata la fama di ribelle – era una giovane e spaventata, e cercava di nascondere lo spavento dietro al sua bellezza.

In verità, a determinare gli eventi successivi sembrerebbe essere invece il suicidio della madre di Nadia, che elabora il lutto tenendo nascosta la tristezza dove nessuno possa vederla, perché un dolore interiore è fatto per restare dentro. Nadia non viene compresa e accolta adeguatamente dalla comunità, che è portata ad accogliere, comprendere e prendersi cura di chi il dolore lo esterna e lo manifesta in maniera pubblica o plateale. Decide, dunque, di abortire perché si sente a ragion veduta completamente sola  e anche, semplicemente, perché non si sente affatto pronta e desiderosa di stravolgere in maniera irreversibile la propria vita e di farsi carico di una responsabilità così grande. Lo fa escludendo altre alternative, è una ragazza intelligente che sa di dover badare e bastare a se stessa. Questa è la sua scelta, che però non sarà scevra, a volte, da rimpianti per una vita e per degli amori che avrebbero potuto essere ma che non sono stati. The Mothers è, infatti, anche un libro sulle conseguenze della mancanza di comunicazione, degli equivoci, dei muri invalicabili che a dispetto dei nostri effettivi sentimenti possono venirsi a creare tra noi ed i nostri affetti più cari, muri che non portano altro che infelicità collettive.

Ciò che indubbiamente vuole mettere in evidenza Bennett con la sua scrittura, ma che in verità potrebbe risultare leggermente fastidiosa, è l’enfasi con cui vengono raccontate le reazioni emotive, nonché la sofferenza a scoppio ritardato, di Luke rispetto all’aborto di Nadia. Bennett è più che consapevole di come le  donne vengano ingiustamente colpevolizzate rispetto a questa scelta e iniquamente trattate rispetto ai partner uomini. La scrittrice tenta dunque di dar rilievo anche alle loro responsabilità e sentimenti, attribuendo agli uomini un ruolo di attore attivo in quelle scelte di cui, alla fine, sono costrette a farsi carico le donne.  Così, se per la comunità  Nadia è una sgualdrinella ignorante, Luke non è un cattivo ragazzo ma solo imprudente o sconsiderato. L’aborto classifica la donna in maniera definitiva:

“I ragazzi possono permettersi di essere imprudenti  e spensierati tutta la vita. Tu invece, o stai attenta adesso, oppure dovrai stare attenta dopo. E’ la tua unica scelta, a dire il vero”

The Mothers parla inevitabilmente di sorellanza, di due ragazze che si ritrovano per avere in comune  una profonda solitudine e il trauma della perdita della madre, anche se con diversissime modalità. Una, infatti, non parla della madre per poterla conservare dentro di sé e l’altra non ne parla per poterla dimenticare più facilmente. Bennett dimostra una singolare saggezza e sensibilità, sebbene il soggetto della narrazione non mi pare abbia quella originalità che, ad esempio, colpisce nei racconti di Zz Packer  e sebbene ovviamente non si avvicini  lontanamente alla grandiosità indimenticabile di Toni Morrison. Tuttavia me le ricorda piacevolmente e attendo con una certa aspettativa il suo prossimo romanzo.

Ma torniamo alle madri dunque, che Bennett ci presenta in un continuo rimbalzo da luogo comune stereotipato al particolare delle single vite e viceversaCosì “ Se non conosci la persona che ti ha tenuto in grembo  per nove mesi, allora chi potrai mai conoscere?” o “Si chiedeva se fossero le uniche a provare la sensazione di non aver conosciuto veramente le loro madri”, c’è Nadia che sceglie di non diventare madre, mentre la madre di Nadia che la spinge a diventare la ragazza studiosa che è,  la ama ma sceglie il suicidio; se “Aveva il tipico dono delle madri di pensare al peggio” o “Nessuno vuole ammettere di odiare la propria madre”, Aubrey  vuole a tutti i costi diventare madre e la madre di Aubrey  sceglie di lasciarla in pasto al peggio e non averne cura, ma per fortuna ad Aubrey  penseranno amorevolmente  la sorella Mo con la compagna; se “Forse le madri erano per natura immense e sconosciute”, la madre di Luke non riesce a suscitare un briciolo di simpatia neanche nel coro, mai.

Le Madri sono tante varie e molteplici, sono  un’ampia e vasta gamma di umanità femminile, che comprende anche colei che  sceglierà consapevolmente di non diventare mai madre, in uno scambio di modi di sentire, di saperi ancestrali e conoscenze che fanno del coro un’entità pulsante gioiosa e potente, che genera il mondo, che ci partorisce e che a nostra volta generiamo.

[Partecipa alla #RCR2017 come #afroamericana]

 

 

 

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