Il brevetto del geco

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Ho comprato questo libro dopo aver letto un articolo di  Christian Raimo nella sua rubrica su Internazionale, dove definisce Il brevetto del geco di Tiziano Scarpa “un inno alle parole”. Ha ragione. La lingua di Scarpa è un vero piacere da leggere.

La storia è un prequel della Nuova Sovversione Cristiana, come leggiamo nella prefazione, ma per buona parte del libro mi sono chiesta cosa c’entrasse la storia di questo gruppo di fanatici con quelle di Adele, e, in particolare, di Morpio, i due protagonisti. Ma Scarpa ci avvisa,

ciò che è successo conta come ciò che si immagina sia successo.

Morpio, il protagonista, viene chiamato quasi sempre per cognome. Lo iniziamo a conoscere meglio ad una festa, dove si intrattiene con non-Viviana, un riuscito personaggio femminile della donna anonima, con la quale

Stava facendo conversazione con una nebulosa di parole.

Le parole e le insoddisfazioni di Morpio, che poi conosceremo anche come Federico, sono centrali nella prima parte del libro.

“Ci hanno segnalato una fuga di invidia da questa palazzina. Proviene dal suo appartamento. Tutto il condominio è allagato di catrame„

“E io che posso fare?„

“Pensi ad altro. La prossima volta che si sveglia, accenda la luce e si metta a leggere.„

Adele, l’altra protagonista è invece quasi sempre chiamata solo per nome. Dopo essere stata folgorata sulla via di Damasco grazie all’apparizione di un geco nella sua cucina, la ritroviamo nella nella chiesa di Abbiategrasso, dove

sbasilische tempestose venivano su, scoliotiche e storpie, implorando un miracolo dal cielo

Il libro procede a capitoli alterni uno appartiene ad Adele, l’altro a Morpio. I destini dei due si sfiorano solo alla fine del libro, nell’ultimo grande capitolo conclusivo. Il filo conduttore che lega i due protagonisti è la voce narrante che appare, insistente, lungo tutto il libro.

Alla fine c’è il colpo di scena, che non è nemmeno davvero tale, e il racconto si tinge di giallo screziato d’angoscia. Siamo tornati alla Nuova Sovversione Cristiana.

La storia d’amore fra  Adele e Ottavio non decolla nel modo in cui ce lo saremmo aspettati. Ottavio, agli occhi di Adele:

Aveva i fianchi un po’ larghi. Il suo sedere grosso, con i glutei rimpolpati nei pantaloni di velluto, le faceva pensare a due pagnotte da donna africana. Davvero fra poche ore sarebbe andata a letto con quell’uomo?

Adele

mi assomiglia, è una creatura larvale, vive sé stessa come una presenza impastata di inesistenza

ci racconta la voce narrante.

L’arte, consapevole e inconsapevole, la fa da padrone, e questo è senza dubbio uno degli aspetti che più mi ha affascinata del libro. Mi ha, al contrario, lasciata perplessa la parte religiosa, che non ho trovato all’altezza del resto nonostante fosse, almeno nelle premesse, il tema centrale della storia. Morpio mi è stato subito simpatico, Adele e Ottavio mi hanno annoiata.

La voce narrante svela la propria identità solo alla fine. Proprio questa identità mi ha lasciato un profondo senso di fastidio una volta chiuso il libro. Rileggendo i primi due capitoli mi sono resa conto che gli indizi sulla identità della voce sono evidenti, ma non so perché fino all’ultimo ho voluto convincermi che la voce appartenesse ad un essere mitologico, ad un’opera d’arte incompiuta o ad un alter ego.

Il libro mi è piaciuto, la storia no, per nulla.

Mi piace anche pensare che l’intenzione di Tiziano Scarpa fosse proprio quella di rendermi alcuni personaggi antipatici e parte della storia sgradita.

Venezia fa da scenografia alla parte finale.

Come ogni forestiero poco pratico della città, si chiese che cosa succedeva quando la marea saliva; immaginò l’acqua alta che, da fuori, traboccava dai davanzali e allagava le stanze.

Così pensava Morpio guardando la luce dell’alba.

Questo è il mio #libronew2016 per la #readingchallenge2016.

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Titolo: Il brevetto del geco
Autore: Tiziano Scarpa
Anno di pubblicazione: 2016
Pag. 336
Prezzo: € 20,00
ISBN 9788806203115

 

 

Una risposta a "Il brevetto del geco"

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  1. Ho letto Il Brevetto del Geco alcune settimane fa e ho avuto la stessa impressione: lo stile e la scelta delle parole è perfetta ma la storia, mannaggia a lei, è quasi un calderone di cose che dopo un poco cominciano anche a stufare.. Ammetto di aver faticato le ultime pagine ma alcune descrizioni sono veramente degne di nota (il capitolo sulla Stazione Centrale di Milano l’ho amato alla follia!)

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