L’omonimo

omonifilm

 

 

 

 

 

 

 

 

Un libro bellissimo che parla di spaesamento ed identità. Che parla delle multiformi sfaccettature del sé. Quelle legate al proprio nome, alla percezione che gli altri hanno di noi, alle intricate relazioni famigliari, alla difficoltà di costruire un sé univoco, coerente, in qualche modo intero.

E’ un libro sulla migrazione, quella condizione eterna di chi ha scelto di andar via dalle proprie certezze,

“perché essere stranieri, comincia a realizzare Ashima, è come una gravidanza che dura tutta la vita — un’attesa perenne, un fardello costante, una sensazione persistente di anomalia. È una responsabilità ininterrotta, una parentesi aperta in quella che era stata la vita normale, solo per scoprire che la vita precedente si è dissolta, sostituita da qualcosa di più complicato e impegnativo. Come la gravidanza, essere stranieri, pensa Ashima, stimola la curiosità degli estranei, la stessa mescolanza di rispetto e compassione.”

“Quando Ashima e Ashoke chiudono gli occhi, non manca mai di sconvolgerli che i loro figli sembrino americani in tutto per tutto, che conversino con disinvoltura in una lingua che a volte tuttora li confonde, con un accento di cui sono abituati a diffidare.”

Chiunque abbia provato la sensazione dell'”essere straniero” può far proprie queste parole. E può farle proprie anche chi, in qualche modo si sente straniero e non sa nemmeno perché.

E’ un libro sul ricambio generazionale, sulle aspettative, sulla differenza tra famiglie dove si sussurra (quella di Gogol) e quelle dove si ride a gola spiegata (quella di Maxine).

E’ un libro sulla libertà di scelta, sulla libertà di scegliersi anche le proprie prigioni. Sui legami.

“”Ti ricorderai di questo giorno, Gogol?” gli aveva chiesto suo padre, voltandosi a guardarlo, le mani premute come paraorecchi sui due lati della testa. “Per quanto me lo devo ricordare?” Sul vento che si alzava e calava, riuscì a sentire la risata di suo padre. Era lì, lo aspettava, gli allungò una mano quando si avvicinò. “Cerca di ricordarlo per sempre” disse quando Gogol lo raggiunse, prima di riportarlo lentamente indietro lungo il frangiflutti, fino al punto dove li aspettavano Sonia e sua madre. “Ricorda che io e te siamo arrivati fin qui, che siamo andati insieme in un luogo oltre il quale non si poteva più andare”.

“Si chiede come abbiano fatto i suoi genitori, a separarsi dalle rispettive famiglie, a vederle così di rado, a vivere scollegati, in perpetua aspettativa, o nostalgia. Tutti quei viaggi a Calcutta che tanto l’avevano infastidito — come potevano bastare? Non bastavano. Gogol adesso sa che i suoi genitori hanno vissuto la loro vita in America nonostante tutto ciò che mancava, con una forza che lui teme di non avere. Lui ha passato anni a tenere a distanza le proprie origini; i suoi genitori, a colmare quella distanza meglio che potevano. Eppure, con tutto il senso di distacco che aveva provato verso la famiglia in passato, durante gli anni del college, e poi a New York, aveva sempre gravitato intorno a quella cittadina tranquilla, ordinaria, che era rimasta, per sua madre e suo padre, prepotentemente esotica.”

E’ anche un libro che paga un enorme tributo alla letteratura, alla Letteratura Russa.

“Si rimette a leggere il «Globe», senza smettere di camminare. Zoppica appena appena, trascina il piede destro quasi impercettibilmente a ogni passo. Fin da bambino aveva l’abitudine di leggere camminando, sempre con un libro in mano sulla strada di scuola, passando da una stanza all’altra nella casa paterna ad Alipore, su e giù per tre piani di scale di argilla rossa. Senza scomporsi. Senza distrarsi. Senza inciampare. Da ragazzo aveva letto tutto Dickens. Leggeva anche scrittori più recenti, Graham Greene e Somerset Maugham, comprati al suo banchetto preferito in College Street con le mance dei pujo. Ma i suoi prediletti erano i russi. Il nonno paterno, ex professore di letteratura europea all’università di Calcutta, glieli leggeva ad alta voce in traduzione inglese quando era piccolo. Ogni giorno, all’ora del tè, mentre fratelli e sorelle giocavano a kabadi e a cricket fuori, andava in camera di suo nonno, e per un’ora il nonno leggeva sdraiato sul letto, con le caviglie incrociate, il libro appoggiato sul petto, e Ashoke raggomitolato accanto. In quell’ora Ashoke era sordo e cieco al mondo circostante. Non sentiva i fratelli e le sorelle ridere sul terrazzo, non vedeva la stanza angusta, ingombra e polverosa dove il nonno leggeva. “Leggi tutti i russi, e quando hai finito rileggili” aveva detto il nonno. “Non ti tradiranno mai. Quando ebbe imparato l’inglese a sufficienza, cominciò a leggerli per conto suo. Era stato camminando lungo le strade più rumorose, più trafficate del mondo, Chowringhee Road, Gariahat Road, che aveva letto pagine dei Fratelli Karamazov, Anna Karenina e Padri e figli. Una volta un cugino più piccolo, cercando di imitarlo, era caduto dalle scale di argilla spaccandosi un braccio. La madre di Ashoke era convinta da sempre che suo figlio maggiore sarebbe finito sotto un autobus o sotto un tram, con il naso immerso in Guerra e pace. Che sarebbe morto con un libro in mano.”

E questo mi ha fatto gongolare, perché un paio di anni fa ho scritto che “La letteratura indiana è la nuova letteratura russa”.

Ma questo non è un libro “indiano” è un libro sentitamente, autenticamente postcoloniale, è il libro della diaspora che ci portiamo tutti dentro, a meno che non siamo ottusi come qualche “Onorevole” leghista, o meschini quanto i promotori delle cortine di ferro tra “noi” e “Loro”.

omonimo

PS Questa recensione è dedicata alla mia amica Speranza ❤

 

Titolo: L’omonimo
Autore: Jhumpa Lahiri
Editore: Marcos&Marcos e Guanda
Pagine: 384 (M&M), 352 (Guanda)

15 risposte a "L’omonimo"

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  1. Per Zaidenoll e Speranza :avete mai letto romanzi o racconti di ambientazione/autore/cultura Sikh ?Se si datemi la dritta,se no grazie lo stesso e mandatemi una faccina che piange.Gianni Singh Leoni

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  2. Speranza e Zaidenoll,Bibì e Bibò di qs blog,andate su”Radio24 indovina chi viene a cena”per sentire l’intervista a jhumpa Lhiri sul suo ultimo libro scritto in italiano!!!!”In altre parole” ed Guanda P.S.Grazie a quel Dio semitico e geloso(“il problema non è dio ma il suo fan club”)che ha creato tante lingue quant’erano i mattoni di quello spreco di denaro pubblico degli onesti contribuenti babilonesi (che noi italiani li capiamo benissimo),grazie per la musica verbale d’Inghilterra dice Borges mezzo inglese ed argentino ma con antenati portoghesi,grazie per la musica verbale di Germania;grazie per l’italiano di Dante e Petrarca e per quello dei verbali dei carabinieri,grazie per le lingue non scritte dei boscimani del sud più dolce e aspirato di quello dei boscimani del nord,grazie ad ogni linguaggio che può simulare la sapienza,grazie alla parola che salva,grazie alle lingue che non ci sono più,al lapidario latino come all’epico inglese antico:come dimostra il caso dell’ebraico moderno c’è per loro forse ancora una possibilità,grazie per le lingue estinte non più recuperabili dei Chiloè(terra del fuoco),grazie al mio patetico gracilissimo inglese,grazie alle lingue fantastiche imparlabili,alla lingua di Briareo e di Pluto nell’Inferno,di cacciaguida e degli angeli nel Paradiso,Grazie alla musica verbale di catalogna che è l’approssimazione più probabile all’antico provenzale, grazie al mio improbabile francese che mi consente di canticchiare “Que turbillon la vie”di Jeanne Moreau nella tromba delle scale,Grazie alla musica verbale di Spagna ,la più vicina al latino ma così araba se solo inizia con AL,grazie a voi Bibì e Bibò,prima tedeschi poi americani infine italiani sul corriere dei piccoli del 1912,per aver letto qs miei sragionamenti fino alla fine

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  3. sotto minaccia dell’amica zaidenoll, lascio anche la mia recensione a questo libro che, come ripeto, mi è piaciuto molto.

    “veniamo tutti dal cappotto di Gogol”
    Una giovane famiglia bengalese, il cui matrimonio è stato combinato, decide di emigrare. Il padre Ashoke Ganguli che ,durante un viaggio in treno rischia la vita mentre sta leggendo un racconto di Gogol (“invece di ringraziare Dio ringrazia Gogol, lo scrittore russo che gli ha salvato la vita”), decide di chiamare il figlio proprio con il cognome dello scrittore.
    Negli Stati Uniti Ashoke riuscirà ad affermarsi e fare carriera, mentre la moglie si dedicherà alla famiglia e a mantenere salde le tradizioni culturali di appartenenza, a creare una rete di relazioni con connazionali che le permettano di essere quella che è senza cercare l’approvazione esterna, rifuggendo da sguardi di commiserazione o curiosità.
    Guardando, con sorpresa, i figli che sembrano “ americani in tutto per tutto, che conversano con disinvoltura in una lingua che a volte tuttora li confonde, con un accento di cui sono abituati a diffidare.” e l’insofferenza per le festività induiste.
    In questa migrazione da adulti che l’autrice definisce come “una gravidanza che dura tutta la vita — un’attesa perenne, un fardello costante, una sensazione persistente di anomalia. È una responsabilità ininterrotta, una parentesi aperta in quella che era stata la vita normale, solo per scoprire che la vita precedente si è dissolta, sostituita da qualcosa di più complicato e impegnativo. Come la gravidanza, essere stranieri, pensa Ashima, stimola la curiosità degli estranei, la stessa mescolanza di rispetto e compassione.”
    Il figlio Gogol combatterà con un nome che non sente suo e con un atto di rottura nei confronti delle scelte genitoriali, deciderà di cambiarlo. (“nelle famiglie bengalesi, il nome di un individio è sacro, inviolabile. Non si presta a essere ereditato, o condiviso).
    Jhumpa Lahiri narra, in maniera precisa e delicata, la sensazione continua di sradicamento che appartiene a chi emigra, che rende necessario l’attaccamento a gesti e riti di convivialità che ti permettano di rimanere solido e definito. Nello stesso tempo non dimentica di narrare l’identità plurima con la quale i figli della migrazione devono relazionarsi.
    Il nome mi definisce?
    Nel momento in cui l0 cambio, la mia identità ne segue il cambimento?
    Decisamente delicate ed empatiche anche le parole usate nel descrivere le parabole degli innamoramenti, delle passioni che le accompagnano e degli fratture che si inseriscono e ne cambiano la direzione.
    Un libro che affronta diverse tematiche con un garbo e delicatezza che lo rendono decisamente piacevole.

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