Tre libri sul Messico

Diego e Frida

Da quando ho studiato gli Aztechi all’università ho sviluppato un amore travolgente per il Messico, anche se l’idea che ne ho è incentrata sul suo passato piuttosto che sul suo presente.
Negli ultimi due anni circa mi è capitato di leggere tre libri sul Messico: Il serpente piumato di David Herbert Lawrence (1926), Al di là della baia del Messico di Aldous Huxley (1934) e Diego e Frida, di Jean Marie Le Clézio (la cui storia inizia copre più o meno la prima metà del ‘900). Tutti tre i libri sono incentrati su un periodo particolare della storia del Messico, dopo la rivoluzione, secondo Le Clézio “La Città del Messico di Diego e Frida. Una città in cui si agitano la creazione, l’invenzione, la novità. Indubbiamente nessun’altra città fu mai così rivoluzionaria, faro per i poppi oppressi d’America. Un luogo così importante, durante il decennio 1920-1930, così fertile per l’arte e per le idee come lo furono Londra ai empi di Dickens o Parigi durante la belle époque di Montparnasse”.

“Al di là della baia del Messico” di Huxley è probabilmente uno dei libri più belli che abbia mai letto. Huxley affronta la realtà messicana degli anni ’20 con un approccio molto scientifico/antropologico. È facile per un viaggiatore europeo avere un contatto superficiale con un mondo complesso e profondamente diverso dal proprio come il Messico, e indovinare a proprio modo le origini e le cause di tali differenze. Però, come l’autore stesso sottolinea, non solo tali interpretazioni sono sbagliate, ma in assenza di strumenti affidabili lo stesso tentativo di comprendere una realtà basata su principi tanto diversi dai propri rischia di essere dannoso.
Per quoto motivo Huxley descrive un mondo, ma fa molta attenzione a non azzardare interpretazioni. Quando possibile individua origini storiche o archeologiche, ma non cade mai troppo nelle opinioni personali non suffragate.
Sarà che per anni mi sono posta problemi simili nel mio lavoro, cercando di capire dove fermarmi nell’interpretazione personali di dati oggettivi, arrivando a convinzioni analoghe a quelle di Huxley, ma l’unione fra lo stile letterario a me molto congeniale, un argomento affascinante e un approccio che condivido fanno di questo libro uno dei miei preferiti. L’unico difetto che ho trovato è che si tratta di una lettura impegnativa, in cui è necessario concentrarsi. Non un libro leggero, sicuramente.
Voto: 10

De “Il serpente piumato” ho già parlato, ma credo sia il caso di riprenderlo. Se Huxley è razionale e scientifico nel suo approccio, Lawrence è emotivo, non a caso scrive un romanzo. E nel romanzo crea un mondo messicano ammaliante, ma che a me lascia l’amaro in bocca. Mi dà l’idea di essere una personale interpretazione di ciò che l’autore ha capito del Messico, riempita di infiorettature a mio parere alquanto fastidiose. Lo stile epico, roboante della storia mi ha profondamente infastidito. Non mi interessa cosa Lawrence ha visto nel Messico, mi interessa il Messico, e in questo libro non sono stata in grado di distinguere fra realtà e invenzione.
Questa mia opinione negativa è ovviamente legata al mio personale punto di vista e a ciò che io avrei voluto trovare nel romanzo. Oltretutto è possibile che l’approccio dell’autore rispecchi fedelmente la mentalità messicana, ma non conoscendola non sono in grado di distinguere fra l’infatuazione di un turista inglese e la ricostruzione della realtà di cui parla. Decisamente con Huxley non mi sono posta questo problema.
Voto: 4

“Diego e Frida” è anche un po’ troppo “emotivo” per i miei gusti (ma, di nuovo, si tratta di un romanzo). La lettura del primo capitolo è stata difficile, Le Clézio per i miei gusti pone troppo l’accento sul sentimentalismo. Oltre tutto ritengo che determinati sentimenti (ad esempio partecipazione, empatia) vadano evocati piuttosto che sottolineati pesantemente, come trovo che faccia questo autore.
A parte questo difetto di stile, Le Clézio mi dà l’idea di parlare di una realtà che conosce bene e che sa inserire nel giusto contesto (sentimento che non ho provato nei confronti di Lawrence). Leggendo questo libro mi sembra di essere in grado di distinguere meglio fra punti di vista personali dell’autore e mentalità messicana. Se prima di leggerlo bocciavo Lawrence senza pietà, ora, come scritto sopra, considero “possibile che l’approccio dell’autore rispecchi fedelmente la mentalità messicana”.
Un enorme pregio di questo libro è quello di raccontare un intero periodo della storia del Messico, e non semplicemente le impressioni derivate da un viaggio di breve durata. Le figure di Diego Rivera e Frida Kahlo sono incredibilmente affascinanti e raccontate con partecipazione (come detto, a volte forse persino troppa). Il contesto è spiegato in modo chiaro ma senza eccessiva pesantezza e senza pesare sulla trama. In generale è un libro che tiene incollati alle pagine, che fa rimpiangere che non sia più lungo, che fa venir voglia di correre a una mostra di Diego o di Frida (o magari su entrambi) e perdersi nelle loro opere e nelle storie che raccontano o di prendere un aereo per cercare nei volti e nelle strade del Messico di oggi una traccia di queste storie.
Voto: 8

Comunque ho deciso. Quando è il primo volo per Città del Messico?

Articolo già pubblicato su: I libri di paleomichi

4 risposte a "Tre libri sul Messico"

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  1. Ho letto un po’ di tutto sul Messico, di recente mi è capitato sotto mano il libro di un esordiente Paolo Zambon “Inseguendo le ombre dei colibrì”. Scettica quando si tratta di letteratura di viaggio, mi sono ricreduta. Reportage curato nei dettagli con accenni storici importanti ed intriso di grande umanità. Una specie di romanzo più che un semplice libro di viaggio.

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